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Su questa testata (e su altre) mi sono occupato più volte del “pasticciaccio brutto” di mischiare nella contabilità pubblica voci di previdenza con voci di assistenza. Tema importante non solo per ragioni di trasparenza e per l’impressione (di più alta spesa pensionistica di quella effettiva) che si dà al resto del mondo. L’argomento non è all’ordine del giorno dell’ormai imminente legge di bilancio, ma lo sarà il prossimo anno, dato che il governo ha più volte affermato che intende attuare una riforma complessiva della materia anche il fine di riordinare, e rendere coerenti, una serie di “aggiustamenti” alle legge del 1995 (generalmente conosciuta come “riforma Dini”) e del passaggio, per il computo delle spettanze di ciascuno, da un sistema retributivo, basato sulle retribuzioni ricevute, ad un sistema contributivo, basato invece sui contributo versati).

In materia suggerisco di leggere il recente volume della Banca Mondiale Addressing Marginalization. Polarization and the Labour Market Progress and Challenges of Nonfinancial Defined Contribution Pension Schemes, di cui sono autori Robert Holzmann, Edward Palmer, Robert Palacios, e Stefano Sacchi. Tutti nomi di gran rilevanza internazionale: Holzmann, ad esempio, è attualmente governatore della Banca Nazionale Austriaca e membro del Consiglio Direttivo della Banca centrale europea (Bce). Contiene anche un dettagliato capitolo sull’Italia. La conclusione è che il sistema contributivo impone la separazione tra previdenza ed assistenza per ragioni di semplice logica e correttezza contabile.

Ci sono, però, anche serie ragioni giuridiche che potrebbero essere di rango costituzionale. È un punto sollevato da diversi lettori che hanno letto il mio articolo del 17 novembre. Volendo risalire alle determinanti che fanno ritenere possibile l’accoppiata, sotto un’unica voce di uscite, della previdenza e dell’assistenza, la principale sarebbe che negli anni, politica ed opinione pubblica avrebbe perso la cognizione della differenza tra imposte e tasse, argomento che un tempo si studiava nel primo anno dei corsi di scienza delle finanze e di diritto tributario. Le imposte destinate a finanziare i servizi indivisibili, le tasse per finanziare servizi specifici, come quelli previdenziali. Rientrano nel novero delle tasse i contributi in genere.

Con le sentenze NN 241 del 1989 e 424 del 1995, relative ai contributi Gescal, la Corte Costituzionale sentenziò che tali contributi dovevano essere utilizzati solo per dare le case ai lavoratori, posto che questo era il motivo per cui erano versati. Per analogia, il principio della specificità dell’uso dovrebbe valere per tutti i contributi. Quindi, l’accorpamento in unica voce uscite nel bilancio dell’Inps, delle prestazioni previdenziali e assistenziali, potrebbe essere incostituzionale. Quindi non riconducibile unicamente a una questione di trasparenza e di correttezza.

Non sono un giurista, quindi, non credo debba essere io ad entrare su questo punto specifico di cui, però, riconosco la grande rilevanza. Propongo che il governo costituisca un comitato di giuristi che studi il problema e se del caso si rivolga alla Corte Costituzionale.

Quel pasticciaccio brutto dell'assistenza mescolata alla previdenza. Scrive Pennisi

Il governo potrebbe costituire un comitato di giuristi che studi il problema e che in caso si rivolga alla Corte Costituzionale. La proposta di Giuseppe Pennisi

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