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“Anche la luce sembra morire nell’ombra incerta di un divenire”: la citazione dei versi di Fabrizio De André sottolinea negli ambienti politici e istituzionali la determinazione di quanti sono convinti che l’uscita di scena di Mario Draghi possa in realtà determinare una scossa rigeneratrice per tutta la disastrata politica italiana che il 20 luglio ha fatto registrare una delle pagine peggiori, dopo quella della ignominiosa fuga dei Savoia da Roma l’8 settembre 1943.

L’esempio e l’impronta del governo Draghi rappresentano infatti un precedente dirompente e innovativo rispetto alla tradizionale inconcludenza e pressapochismo dei politici, dal quale l’area progressista non potrà prescindere. “Il poeta ribelle, l’eroe solitario – sosteneva Oriana Fallaci – è senza seguaci: non trascina le masse in piazza, non provoca le rivoluzioni. Però le prepara”.

Sepolto per l’implosione dei grillini il progetto del cosiddetto “campo largo”, fra Pd e 5 Stelle, quella che sembra delinearsi è una sfida tra il centrodestra e un’area Draghi formata da tutte le forze politiche che hanno votato la fiducia e dai vari esponenti di altri partiti, come i ministri ex Forza Italia Mariastella Gelmini e Renato Brunetta, in rotta di collisione con la deriva populista.

Implicita l’offerta a Draghi della premiership da parte dell’area progressista formata da Pd, sinistra, “Azione” di Carlo Calenda, “Italia Viva” di Renzi, “Italia per il futuro” di Luigi Di Maio, e dai parlamentari degli attuali gruppi misti di Camera e Senato che fanno capo all’Udc, a “Coraggio Italia” coordinata dal presidente della Liguria Giovanni Toti e “Cambiamo” guidato dal Sindaco di Venezia Luigi Brugnaro. Un rassemblement dalle venature liberal democratiche e socialiste, perfettamente allineato con l’eurocentrismo e l’atlantismo del premier uscente.

L’opzione Draghi potrebbe configurarsi come una candidatura indipendente di continuità, per assicurare con una maggioranza coesa e definita il proseguimento lineare della governabilità del Paese per portare a termine il Pnrr in un momento di assoluta emergenza internazionale, bellica, economica e socio sanitaria.

Più che gli interessi di partito, le ambizioni personali dei capicorrente e le fughe in avanti dei politologi, la grande forza propulsiva di una eventuale candidatura alla premiership di Mario Draghi è rappresentata dal consenso dell’opinione pubblica e dall’evidente riscontro internazionale del prestigio personale, nonché dall’ incidenza europea e atlantica del presidente del Consiglio. Una premiership che tranquillizzerebbe l’Europa, sotto “shock per la fine dell’era Draghi” come l’ha definita il quotidiano francese Le Monde.

Per il centrodestra, a parte le ombre russe e cinesi che da più parti, in Italia e all’estero, vengono intraviste dietro la trappola parlamentare tesa a Draghi per provocarne le dimissioni, le elezioni di settembre o ottobre, nonostante le apparenze, presentano diverse incognite. La più evidente, evocata dagli ambienti politici e dai sondaggisti, è la penalizzazione che l’elettorato riserva tradizionalmente ai partiti che provocano le elezioni anticipate.

Penalizzazione accentuata dalla straripante valanga di petizioni e appelli provenienti dalla società civile e rivolti a Draghi affinché rimanesse a Palazzo Chigi. Nel mirino della memoria lunga degli elettori, che sgomenti hanno visto in che modo è stato liquidato l’apporto di Draghi da tutti giudicato straordinariamente positivo, vi sarebbero in particolare Lega e 5 Stelle. I grillini per aver innescato la crisi ed i leghisti per avere colto a volo l’autogol dei 5 Stelle pugnalando politicamente alle spalle il premier.

In Forza Italia si avvertono già le conseguenze di quello che viene considerato una sorta di golpe salviniano anti Draghi, un putsch politico avallato ancora non si capisce bene perché da Berlusconi. Le polemiche fuoruscite dal partito dei ministri Brunetta e Gelmini, nettamente contrari alla spallata populista, potrebbero infatti essere seguite da vari altri parlamentari azzurri.

A trarne vantaggio, anche per la linearità dell’opposizione condotta sempre alla luce del sole, sarà esclusivamente Giorgia Meloni. Tanto per le candidature nei collegi elettorali e soprattutto per i preaccordi sugli eventuali Ministeri di un ipotetico Governo di centrodestra, la leader di Fratelli d’Italia dovrà tuttavia fare i conti con la spregiudicatezza di Salvini e la sindrome da ultima spiaggia di Berlusconi. Facile prevedere che per l’accelerazione dei tempi della crisi, l’alleanza rischia di far prevalere candidati imposti dai leader ma non in sintonia con i territori.

Dunque, non è affatto tutto oro quello che luccica nei dintorni di via Bellerio e villa Grande. Mai dimenticare, insomma, che in politica – basta ricordare Machiavelli – l’immaginario e il simbolico hanno da sempre un valore superiore al cosiddetto “reale”. Un fattore che risulta ancora più evidente in un contesto politico in cui i comportamenti riflettono la vera natura dei personaggi.

Per Mario Draghi non è detta l'ultima parola

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