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Cosa ci dobbiamo attendere dal vertice di Anchorage, che domani vedrà confrontarsi Donald Trump e Vladimir Putin sulle sorti dell’Ucraina?

Molto probabilmente sarebbe errato nutrire aspettative troppo elevate: non sarà un vertice conclusivo, ma nella migliore delle ipotesi il primo passo di un processo di riavvicinamento tra Stati Uniti e Russia. Si tratterà comunque di un momento molto importante, dopo più di tre anni in cui Mosca è stata sostanzialmente isolata dall’Occidente.

La cornice in cui si svolgerà l’incontro, in una delle più grandi basi militari americane all’estero, a novanta chilometri dal confine russo, qualche decina di minuti in elicottero, rappresenta intanto un grande elemento di novità a livello internazionale.

Ci troviamo in un periodo in cui le regole tradizionali sostanzialmente non valgono più e si ricorre in maniera crescente all’uso della forza. Il sistema internazionale edificato all’indomani della Seconda guerra mondiale appare sempre più in difficoltà, non solo per i comportamenti individuali messi in atto dagli attuali leader ma anche per le condizioni oggettive di un mondo che sembra ormai mutato inesorabilmente, in cui i conflitti non sono più convenzionali ma dove la tecnologia ha un peso sempre più preponderante, dall’uso pervasivo dell’intelligenza artificiale al ruolo decisivo che hanno gli attacchi compiuti da droni.

A questo si aggiunga il fatto che gli Usa non sono più la potenza egemone mondiale ma solo i campioni dello schieramento occidentale, contrastati in maniera più silenziosa ma inesorabile dalla Cina e che quindi oggi e nei prossimi anni i conflitti saranno sempre più combattuti nella sfera delle influenze del soft power, dalla finanza alla AI, alla cultura ed informazione drogata.

Vanno infine considerate le personalità degli attuali governanti, in linea con la tendenza dilagante nel mondo dell’uomo/donna soli al comando circondati da istituzioni compiacenti, come Donald Trump che ha impresso alla sua leadership i tratti dell’uomo forte al potere, determinato a raggiungere risultati eclatanti per dare seguito agli annunci fatti in campagna elettorale, anche se questo dovesse comportare di “piegare” la realtà ai propri obiettivi (come è stato fatto ad esempio in occasione del recente licenziamento della direttrice del Bureau of Labour Statistics per aver pubblicato dati sull’occupazione non in linea con la narrativa MAGA).

Occorre dunque fare i conti con questo nuovo mondo in cui la cornice dell’Onu e principi cardine stabiliti ottanta anni fa, nel 1945, quali il rispetto della sovranità territoriale, hanno un valore sempre più relativo.

È in questo quadro che si inserisce il vertice in Alaska, località dall’elevato valore simbolico non solo per la “convenienza” geografica per Putin ma anche per il fatto che si tratta di un territorio originariamente di pertinenza della Russia, che fu poi costretta a venderla agli Stati Uniti per consentire allo zar Alessandro II di ripianare i propri debiti.

E sono proprio due “zar” quelli che si incontreranno domani, entrambi caratterizzati da personalità molto forti ma con approcci diametralmente opposti. Da una parte Trump, che con la sua irruenza quasi brutale potrebbe cercare di mettere in atto mosse ad effetto per indirizzare la trattativa nella propria direzione. Non è un caso se Trump, almeno a parole, ha mostrato un atteggiamento fermo nei confronti della propria controparte ammonendo la Russia a fermare le proprie operazioni militari, pena l’inasprimento delle sanzioni. Dall’altra Putin, che con la sua calma razionalità è invece un maestro nel mostrare la propria superiorità nei confronti dell’interlocutore (ricordiamoci ad esempio dell’umiliazione a cui fu sottoposto Macron al Cremlino pochi giorni prima che la Russia invadesse l’Ucraina).

È legittimo dunque chiedersi chi avrà la meglio, nella sostanza e nella forma, ma è bene ricordare che il faccia a faccia di domani sarà solo la prima puntata di una trattativa che potrebbe durare a lungo e il cui successo non è scontato. Non è un caso se la stessa Casa Bianca ha cercato nelle ultime ore di smorzare i toni e abbassare le aspettative in vista dell’incontro, dichiarando che non si tratterà di un vertice risolutivo quanto piuttosto di un “esercizio di ascolto”. Un risultato estremamente positivo sarebbe l’accordo per un cessate il fuoco, base essenziale per costruire il negoziato e ricominciare a dialogare con la Russia. Ma questo non potrà avvenire senza il pieno coinvolgimento dell’Ucraina e la definizione di condizioni onorevoli per Kyiv, a partire dalla minimizzazione delle concessioni territoriali e concordando una serie di garanzie che rispettino la futura integrità territoriale dell’Ucraina e un suo progressivo avvicinamento all’Unione Europea. Se queste linee rosse non verranno superate da Mosca, allora sarà possibile premere il tasto “reset” e riprendere a dialogare con la Russia su più fronti, dalla cooperazione economica con l’ammorbidimento delle sanzioni ,al confronto su altri fronti internazionali particolarmente critici come la questione iraniana e quella medio-orientale.

Infine, oltre al ruolo che giocheranno i protagonisti è importante analizzare quello degli “spettatori”. A partire dalla Cina, che continua a stare alla finestra con un atteggiamento silente ma estremamente interessato, che in questi anni di guerra è stata decisiva nel fornire alla Russia quel sostegno economico e militare che ha permesso a Mosca di resistere al peso delle sanzioni internazionali.

E continuando ovviamente con i Paesi europei, che grazie al coordinamento di questi ultimi mesi tramite la coalizione dei volenterosi (in cui è stata finalmente coinvolta anche l’Italia) hanno ottenuto che l’amministrazione Trump si consultasse preventivamente, coinvolgendo anche il leader ucraino Zelensky, che al momento sembra – non a torto, dal suo punto di vista – il più restio ad effettuare ogni concessione di tipo territoriale.

“Voto 10” ha commentato Trump al termine della call di ieri di allineamento con Ue e i principali leader; al di là delle dichiarazioni a effetto del Presidente Usa, è importante che l’Europa (incluso il Regno Unito di Starmer, sempre più vicino all’Ue almeno nelle questioni di politica estera e di difesa) batta un colpo in questa fase che potrebbe portare, grazie allo strumento della cooperazione rafforzata, ad una integrazione finalmente più stretta nei settori della sicurezza e della difesa.

Per il governo italiano si tratta di un’occasione unica per giocare un ruolo importante in un momento nel quale si stanno delineando le nuove gerarchie continentali con il cancelliere tedesco Merz che, grazie anche alle difficoltà interne francesi, ha ormai assunto la guida di una rinascita europea convocando vertici, aumentando le spese militari, acquistando armi dagli Usa per l’Ucraina, rompendo il tradizionale timore di evitare il deficit di bilancio, dispiegando tutta la sua tradizionale influenza verso l’Europa orientale, con l’aiuto della Polonia da una parte e della Commissione europea a Bruxelles.

L’Italia ha ora lo spazio per inserirsi in trattative che non portino solo a tutelare l’Ucraina ma anche a rilanciare l’alleanza transatlantica e la coesione europea nel campo più congeniale della sicurezza, in un periodo complesso su altri fronti e meno gestibile, come quello delle questioni commerciali e finanziarie.

Cosa aspettarsi dal vertice di Anchorage. Castellaneta spiega la posta in gioco in Alaska

Il ruolo dei protagonisti, Trump e Putin, ma anche quello degli spettatori del summit. Italia compresa, che ha ora lo spazio per inserirsi in trattative che non portino solo a tutelare l’Ucraina ma anche a rilanciare l’alleanza transatlantica e la coesione europea nel campo più congeniale della sicurezza, in un periodo complesso su altri fronti, come quello delle questioni commerciali e finanziarie. L’analisi dell’ambasciatore Giovanni Castellaneta

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