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Inutile girarci intorno, su Palazzo Chigi si sono addensate nubi nere, nerissime. A dispetto del caldo africano di questi giorni, il governo di Mario Draghi rischia di essere investito da una tempesta, che potrebbe anche finire con un naufragio di tutta la nave. Il giorno potrebbe essere domani, quando il Movimento Cinque Stelle, reduce dalla drammatica scissione di Luigi Di Maio, potrebbe decidere di non votare il decreto Aiuti. Dando così una leva alla Lega di Matteo Salvini, già pronto a chiedere il voto in caso di forfait grillino in Aula.

Nel mentre però, Draghi non è certo uno che si gira i pollici. E l’ultimo atto dell’esecutivo guidato da chi, volenti o nolenti, ha salvato la moneta unica è un piano di aiuti per famiglie e imprese, a prova di inflazione. Una specie di gabbia di Faraday, contro le saette di un costo della vita che in Italia viaggia ormai strutturalmente oltre l’8%. Una strategia illustrata ieri ai sindacati e oggi a Confindustria, direttamente al presidente Carlo Bonomi, ricevuto di buon mattino a Palazzo Chigi.

Due i pilastri. Da una parte ridurre il carico fiscale sulle buste paga e assicurare i rinnovi contrattuali. I contratti collettivi sono, d’altronde, la chiave di volta che il governo ha identificato per introdurre in Italia il salario minimo europeo. La versione italiana non sarà un’unica soglia precisa, non quindi la base minima dei 9 euro calcolata dall’Inps e sponsorizzata dallo stesso Movimento 5 Stelle.

L’idea nella testa di Draghi è il Tec, il trattamento economico complessivo, messo a punto dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando: i salari minimi varranno per settore, con l’applicazione dei contratti maggiormente diffusi a tutti i lavoratori dei rispettivi comparti. Allo stesso tempo si punterà ad utilizzare delle forme di sgravio come stimolo alla qualità del lavoro e dei meccanisimi di premialità per sostenere la chiusura dei contratti non ancora rinnovati, considerando che tra i 6 e gli 8 milioni di lavoratori si trovano oggi in mano un contratto scaduto.

Poi c’è il cuneo fiscale, battaglia delle battaglie per gli imprenditori italiani da anni, stufi di pagare allo Stato un costo del lavoro tra i più elevati d’Europa. Qui la parolina magica è manovra, quella d’autunno, sempre che l’attuale esecutivo riesca a sopravvivere. Anche in questo caso si tratterebbe di una misura strutturale, sicuramente più ampia dell’esonero contributivo varato per quest’anno per i redditi fino a 35mila euro, costato alle casse dello Stato 1,5 miliardi. Le cifre di cui si ragiona sono stavolta decisamente più alte: Confindustria chiede 16 miliardi, i sindacati almeno una mensilità, quindi 100-150 euro al mese equivalenti a circa 10 miliardi.

E le parti sociali, che dicono? Uniti sui temi, seppur con qualche sfumatura, ma diversi nei toni. Si potrebbe sintetizzare così il fronte sindacale uscito da Palazzo Chigi dopo il confronto con il governo. I temi sono condivisi ma c’è chi vede un passo in avanti e chi invece, come il leader Cgil Maurizio Landini, non abbassa la guardia e vede un bicchiere ancora mezzo vuoto, senza cifre e con misure ancora da attendere. Cgil, Cisl e Uil convergono su larga parte dei temi e sulle tempistiche, avvertendo l’esecutivo che non si può attendere la prossima legge di stabilità: occorre agire subito, anche con uno scostamento di bilancio. Crisi permettendo.

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