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Nessun crollo, nessuno smottamento, nessuna, nuova, fiammata dello spread. Il day after dei mercati, dopo l’apertura formale della crisi di governo in Italia e conseguente terremoto su listini e titoli di Stato, è quasi dolce. E pensare che poteva andare molto peggio di quanto visto ieri, con lo spread salito fino a quota 228 punti base, con il rendimento del Btp decennale vicino al 3,3%% e Piazza Affari sprofondata del 3,44%.

Ma la musica è diversa, oggi. Il differenziale tra i titoli italiani e tedeschi è calato dello 0,13% e sceso a 216 punti base, con il rendimento sul decennale al 3,2%. Mentre la Borsa si è mantenuta costantemente in territorio positivo, intorno all’1%, per poi chiudere all’1,8%. Che succede? Molto semplice, i mercati sperano ancora in un rientro della crisi politica, con il premier Mario Draghi mercoledì in parlamento pronto a fare la conta e verificare l’effettiva esistenza di una maggioranza. Scenario remoto a dire il vero, ma per gli investitori tanto vale sperare, ancora.

E poi, mai dimenticare il vero alleato dei mercati, quel Sergio Mattarella che le dimissioni di Draghi non le vorrebbe proprio, tanto da averle già respinte una prima volta. Il ruolo del Capo dello Stato è agli occhi dei mercati decisivo. Respingendo le dimissioni dell’ex presidente della Bce il Colle ha ottenuto due risultati: guadagnare tempo e lasciare aperto uno spiraglio per un Draghi bis, scenario ovviamente più gradito agli investitori, ma per nulla garantito. Al punto che la situazione è destinata a rimanere estremamente fluida.

Secondo gli analisti di Unicredit, “diversi scenari sono ancora possibili, ma un contesto politico meno stabile rende la carta italiana meno attraente al momento. Al momento ci sarà uno sforzo per garantire al Paese un governo fino alla fine dell’anno, che sia la continuazione di un governo Draghi o un’amministrazione con un primo ministro diverso. Tuttavia, è aumentata la probabilità di elezioni anticipate, che potrebbero tenersi a settembre-ottobre”.

Sullo sfondo rimane comunque la grande partita del debito italiano. Su cui si sono pronunciati gli analisti del Credit Suisse. “La crisi politica”, si legge in un report appositamente dedicato all’Italia, “ha riportato al centro dell’attenzione la sostenibilità del debito pubblico italiano. Secondo le ultime rilevazioni, il debito italiano ammonta a 2.758 miliardi di euro. Una cifra importante, che diventa ancora più pesante in un contesto di politica monetaria restrittiva e crescita economica modesta. I rendimenti attuali sono troppo alti dal punto di vista della sostenibilità del debito. Per mantenere stabile il rapporto debito pubblico/Pil italiano stimiamo che sia necessario mantenere il costo medio di finanziamento al di sotto della soglia del 3%”.

Stando così le cose, diventa secondo la banca d’affari elvetica ancora più necessario lo scudo anti-spread messo per ora solo sulla carta dalla Bce. A patto che il nuovo strumento sia “illimitato o sufficientemente grande” per avere credibilità. Ma anche subordinato “a parametri che garantiscano nel tempo un risanamento fiscale”.

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