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“Ieri ci siamo già impiccati ad un solo fornitore di gas (la Russia), oggi rischiamo di farlo di nuovo con chi ha il monopolio delle batterie elettriche (la Cina)”.

Risponde così Adolfo De Stefani Cosentino, presidente di Federauto, al quesito postogli da Formiche.net sull’azione di Pechino nel triangolo del litio, rappresentato da Argentina, Bolivia e Perù nelle cui terre c’è il 56% del litio mondiale. Il tema è stato al centro del seminario su “Ricerca e innovazione, il futuro della mobilità” organizzato a Milano a Palazzo Lombardia, in occasione del MIMO, la kermesse motoristica andata in scena a Milano e Monza in questo fine settimana.

Tra Ferrari, Maserati e auto elettriche che hanno sfilato in piazza Duomo, tra rombi di cavalli e sibilii di motori geotermici, oltre ad un cane robot esibito da Hyundai, c’è stato il tempo per mettere a fuoco tematiche assolutamente strategiche che condizioneranno l’intero comparto dell’automotive. Il perimetro di discussione parte dall’orizzonte temporale messo nero su bianco dalla Commissione Ue, quel 2035 entro cui bisognerà dire addio al fossile. Ma a quali condizioni?

Secondo Cosentino in primis è necessario evitare che l’Europa si attivi per costruire Giga factory ma poi al contempo lasci il monopolio del litio alla Cina, sarebbe questo “un altro errore macroscopico da non commettere”, al pari di un altro: ovvero in Italia vi sono 38 milioni di auto inquinanti, i cui proprietari semplicemente non passeranno all’elettrico in un batter di ciglia per via di una serie di problemi legati alle condizioni economiche.

Il riferimento è anche alla differenza di status che esiste tra i clienti privati d’Italia e quelli europei: nel nostro Paese i titolari di partita iva non possono accedere ad una fiscalità di vantaggio nell’acquisto dell’auto, mentre nel resto d’Europa i vantaggi sono enormi. “Visto che l’Europa ci chiede di omologarci circa l’acquisto di auto elettriche, allora che omologazione ci sia anche per quanto riguarda la fiscalità”, precisa il numero uno di Federauto.

Il rischio però è un altro, come osservato da Michele Crisci, presidente di Unrae (Unione Nazionale Rappresentanti Autoveicoli Esteri): dal momento che la stragrande maggioranza degli italiani quando va dal benzinaio fa 20 euro di benzina, a volte anche 10, come si potrà pretendere che questa fetta di consumatori scelga di investire 40mila euro (come minimo) per un’auto elettrica? La risposta è possibile trovarla in politiche mirate che vadano oltre i semplici bonus, ma investano una nuova consapevolezza per cittadini e imprese. Secondo Crisci, “occorre un’agenda a 360 gradi per spiegare le nuove tecnologie ai cittadini, magari con target vincolanti per le industries accanto a quelle dell’auto, dal momento che tutto è connesso, dalle batterie alle colonnine, non solo ai pneumatici o agli accessori di ieri”.

Attenzione però al portafogli degli italiani: dopo il biennio pandemico, oggi la guerra sta zavorrando le tasche di famiglie e imprese. Per questa ragione, ha osservato il presidente di ACI Milano Geronimo La Russa, gli italiani rischiano di non cambiare la propria auto con una serie di conseguenze dirette sul settore, che vede scendere le vendite, ma anche con rischi legati all’inquinamento e alla sicurezza. “L’economia è stata drogata da bonus – ha precisato – per cui la scadenza del 2035 va valutata con un’ottica diversa per non apparire fuori dal mondo: siamo arrivati a dire che dobbiamo sposare solo l’elettrico, ma perché? Che sia il mercato a decidere e che vinca il migliore”.

Altro tema connesso all’elettrificazione forzosa è quello legato ai livelli occupazionali: Paolo Scudieri, presidente Anfia (l’Associazione nazionale filiera industria automobilistica) indica un dato: “450mila è il numero degli operai che resteranno senza lavoro in Europa grazie a Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione e responsabile Ambiente” che ha ispirato il pacchetto verde presentato dal governo europeo.

@FDepalo

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