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Il probabile (ma non sicuro) passaggio di Mediobanca sotto il controllo del Monte dei Paschi di Siena (Mps) e dei suoi maggiori azionisti induce a diverse considerazioni di sistema, che travalicano gli interessi privati in gioco. Su questi aspetti sistemici è importante soffermarsi per le implicazioni che hanno per l’evoluzione del sistema bancario ed economico sullo sfondo dei grandi sconvolgimenti della finanza prodotti dalla rivoluzione digitale in atto e dal mutare dell’assetto dell’economia mondiale.

L’aspetto più evidente a prima vista riguarda il sistema di risoluzione delle crisi bancarie messo in piedi nel quadro dell’Ume. Nello spazio di circa sette anni una banca non in grado di superare uno stress test per difetto di capitalizzazione, consistente in un fabbisogno aggiuntivo valutato in 8,8 miliardi, è riuscita a essere ristrutturata anziché finire in procedura di risoluzione ovvero sostanzialmente in liquidazione. Nell’opera di risanamento gli azionisti privati hanno subito perdite insieme agli obbligazionisti subordinati, seppure in misura minore, ma il programma molto impegnativo di ristrutturazione ha prodotto risultati positivi. Il successo è stato reso possibile dall’intervento determinante dello Stato in mancanza di un consistente apporto di soggetti privati disposti a investire nella azione di rilancio.

Contrariamente alla tesi di quanti sostengono che la soluzione delle crisi debba essere affidata alle sole forze di mercato, l’applicazione in questo caso si sarebbe conclusa con l’uscita della banca dal mercato e con perdite ben più consistenti per azionisti, risparmiatori, depositanti e forze di lavoro rispetto alla ristrutturazione sostenuta dal soggetto pubblico. Ne sarebbero altresì derivate significative ripercussioni per la stabilità del sistema finanziario a meno di un decennio dalla crisi debitoria globale e da quella successiva del debito sovrano. Il meccanismo di intervento si è svolto nel quadro della procedura prevista dalle norme comunitarie, che hanno mostrato la loro utilità per un ordinato svolgimento dell’intervento, benché sia apparso chiaro che la guida del processo non possa essere lasciata esclusivamente a soggetti esterni. Si richiede, invece, un ruolo determinante del soggetto pubblico perché meglio degli altri è in grado di valutare nell’ottica di sistema rischi, costi e benefici potenziali delle soluzioni possibili.

Peraltro, il salvataggio pubblico era giustificato dal fatto che, a giudizio della Banca d’Italia, Mps non era insolvente e poteva essere risanata, né il sostegno del Mef era gratuito e privo di stringenti condizioni. In particolare, si è impegnata ad attuare un piano di ristrutturazione che ha comportato il ricambio del top management, la garanzia pubblica a titolo oneroso della cartolarizzazione della tranche senior dei crediti deteriorati, la riduzione del personale di circa 5.500 dipendenti e la chiusura di 600 sportelli con la cessione di altri ad altre banche. L’approccio seguito, di fatto, era in linea con la tesi di salvare l’azienda che risultava salvabile per salvaguardare la stabilità del sistema, ma con la contropartita di pesanti oneri per scoraggiare cattive gestioni, tesi invocata già dalla seconda metà dell’1800 dal noto economista inglese Bagehot.

Dall’intervento pubblico del 2017 ad oggi Mps è passata da una situazione di grande difficoltà a una di buona redditività, che le ha permesso di perseguire una strategia di espansione esogena mediante l’offerta pubblica di scambio con le azioni di Mediobanca. Dal confronto degli ultimi bilanci dei due istituti risulta che Mps presenta diversi indicatori migliori di Mediobanca in termini di ricavi (4 mld contro 3,7 mld), utili (1,9 mld contro 1,3 mld), rendimento (Rote 18,3% contro 14,2%) e di riserva primaria Cet1 phase 1 (18,3% contro 15,1%), con patrimoni netti non distanti (11,6 mld a fronte di 11,2 mld). La ristrutturazione è pertanto servita a rovesciare le debolezze del 2017 e il nuovo management insieme all’azionista pubblico di riferimento hanno sviluppato una strategia finora vincente sotto i profili delle attività e dei rendimenti.

La strategia contempla come l’obiettivo principale costituire un solido gruppo polifunzionale, che affianchi alle funzioni di retail banking di Mps quelle di gestione del risparmio ed investment banking, in cui Mediobanca è specializzata. L’amministratore delegato della prima parla di raggiungere sinergie tra le due banche dell’ordine di 700 milioni, mentre la seconda denuncia la mancanza di una ratio industriale, valuta dissinergie tra 460 e 665 milioni, e ritiene l’Ops a sconto sul valore effettivo. Per il Mef, azionista di Mps con l’11,7% del capitale, si tratta di valorizzare la sua partecipazione azionaria e di contribuire a far nascere un polo finanziario dal grande potenziale e di supporto alla crescita del sistema produttivo.

L’operazione si inserisce, in fondo, nel processo di consolidamento del sistema bancario che fu avviato nei primi anni ’90 e che non è ancora completato. Le varie riforme attuate nel corso degli anni hanno interessato le Fondazioni Bancarie, le Banche Popolari e quelle di credito cooperativo, le garanzie sui crediti alle Pmi e le Gacs, e le fusioni ed acquisizioni, portando allo sfoltimento del numero di operatori. Il sistema è divenuto più solido, ma le sue componenti non hanno ancora raggiunto le dimensioni che caratterizzano i maggiori sistemi europei. In termini di attivi complessivi (total assets), nessuna banca italiana si classifica tra le prime 12 in Europa, con Intesa-San-Paolo in tredicesima posizione e Unicredit in quindicesima. Migliore, invece, il loro piazzamento in termini di capitalizzazione di borsa, rispettivamente con la quinta e sesta posizione. Nel confronto con le maggiori banche americane, le analoghe europee sono peraltro distanziate in termini di dimensioni, ampiezza di servizi offerti e redditività.

A seguito del suo sfoltimento, il sistema italiano a fine 2024 si articolava in 53 gruppi e 81 banche individuali. Gran parte degli attivi (80%) era, tuttavia, concentrata in 12 gruppi, che per la loro importanza erano sottoposti alla vigilanza europea nell’ambito del Meccanismo Unico di Vigilanza (SSM). Malgrado i progressi in questo senso, il sistema presenta un grado di concentrazione tra i più bassi nell’area dell’euro, essendo superato in negativo dal sistema tedesco.

Ridurre la frammentazione del sistema attraverso il consolidamento dimensionale dei componenti produce benefici e al tempo stesso problemi. Tra i primi, sono in primo piano le possibilità di economie di scala e di scopo attraverso la riorganizzazione interna, l’eliminazione di duplicazioni e la riduzione dei costi. In particolare, le grandi dimensioni consentono di dilatare i fatturati con minori aggravi di costo e permettono di generare maggiori risorse, utili per fronteggiare i grandi investimenti richiesti dalle nuove tecnologie digitali, che stanno rivoluzionando i sistemi di gestione, i servizi finanziari, i sistemi di pagamento, i canali distributivi e la nuova formazione del personale. Permettono, inoltre, di contenere la variabilità dei ricavi, di meglio controllare il profilo di rischio del portafoglio e di servire la grande clientela sui mercati internazionali.

In contrasto, i progressi nella concentrazione potrebbero ridurre la concorrenza, lasciare più spazio a collusioni tra i maggiori istituti di credito e rafforzare la desertificazione dei servizi nelle aree marginali o periferiche. Sul piano della concorrenza, è incerto quale sarà l’effetto dell’operazione Mps-Mediobanca perché potrebbe condurre a traslare sulla clientela parte delle riduzioni dei costi, oppure a uniformarsi ai livelli di prezzo dei maggiori competitori e portare ad utile l’incremento di margine sui ridotti costi. molto dipenderà dai limiti posti dalla disciplina della concorrenza e dalla contendibilità dei singoli bacini bancari. Nel riorganizzare le strutture sul territorio sarà inevitabile ridimensionare ed efficientare la rete di sportelli, come già effettuato dal MPS negli scorsi anni. Ne potrebbe risultare una progressione della desertificazione degli sportelli in alcune aree con disagi per la clientela. Il ricorso alla digitalizzazione dei servizi non necessariamente sopperirebbe a questa carenza, perché fasce di popolazione hanno reticenze o difficoltà a operare con strumenti online.

Ben più grave sarebbe il rischio che con l’incrocio Mps-Mediobanca si attenui la loro attenzione verso il credito alle piccole imprese, che costituiscono una delle colonne del sistema produttivo nazionale. La loro ricerca di efficienza potrebbe accentuare il ricorso a procedure automatizzate o impersonali per l’attività creditizia e per le altre operazioni, privando l’operatività bancaria dell’apporto di quelle informazioni che si ottengono dal rapporto interpersonale. L’uso delle tecniche di big data e dell’IA generativa, d’altronde, potrebbe offrire un panorama più completo del merito di credito e del rischio inerenti all’impresa richiedente finanziamenti, mentre difficilmente potrebbe permettere di valutare la qualità del management aziendale. Per contro, un deficit su questo versante lascerebbe spazio per la concorrenza di piccole banche con grande vocazione a soddisfare le esigenze locali.

La digitalizzazione delle operazioni, con ogni probabilità, accrescerà la produttività del personale e l’efficienza operativa al pari che nell’allocazione delle risorse. Tuttavia, la grande dimensione complica la gestione aziendale, genera problemi di integrazione operativa e di coordinamento, ritardi nello sviluppo di sinergie e difficoltà di conciliare le diversità di culture aziendali. Queste criticità non si superano in tempi brevi, come si è visto in passato, e solo chiarezza nelle nuove strategie e un accorto management possono accorciare tempi che si prevedono pluriennali.

Un simile approccio è particolarmente necessario nel procedere all’aggregazione in esame, visto il clima ostile con cui è stata condotta dai due schieramenti. Il consolidamento dimensionale e gestionale del sistema deve andare avanti. In definitiva, più di ogni altra considerazione conta che l’Italia sia dotata di banche solide e polifunzionali, in grado di confrontarsi con la concorrenza delle grandi in Europa e fuori, e che operino per il finanziamento dell’economia, degli investimenti e di tutte le imprese.

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Più di ogni altra considerazione conta che l’Italia sia dotata di banche solide e polifunzionali, in grado di confrontarsi con la concorrenza delle grandi in Europa e fuori, e che operino per il finanziamento dell’economia, degli investimenti e di tutte le imprese. L’opinione di Salvatore Zecchini, economista, già direttore al Servizio Studi della Banca d’Italia, direttore esecutivo del Fmi e vicesegretario generale dell’Ocse

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