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Mentre in Occidente si discute di garanzie di sicurezza e prospettive diplomatiche, a Mosca la guerra rimane intrecciata con la sopravvivenza del regime di Putin. La popolazione si divide tra attese di pace e interessi legati all’economia bellica, mentre il Cremlino cerca di tradurre le trattative in strumenti di legittimazione politica. Formiche.net ha chiesto a Giovanni Savino, docente presso l’Università Federico II di Napoli, di contestualizzare come la società Russa e i suoi vertici guardano al processo negoziale.

Come si approccia la società russa a questi negoziati?

Non abbiamo delle rilevazioni che possano essere attendibili riguardo a quello che avviene in Russia perché ovviamente c’è un regime che controlla in modo piuttosto rigido quello che può essere il minimo segnale di dissenso all’interno della società, quindi risulta complicato dare una visione di quello che pensano veramente i russi. Però alcuni segnali ce li abbiamo, nel corso dei mesi abbiamo visto una crescita di coloro che erano favorevoli in una forma o nell’altra ai negoziati, e al tempo stesso vediamo che c’è un calo degli arruolamenti che avvengono a suon di rubli nell’esercito. Quindi una parte della popolazione attende l’inizio dei negoziati. Ma un’altra invece no.

E qual è questa parte?

Quella di coloro che sono andati a guadagnare dalla guerra, come i familiari dei veterani dell’Operazione Speciale Militare, che oltre ad aver ottenuto degli ottimi stipendi per i propri cari al fronte hanno ottenuto anche tutta una serie di benefit, dal non pagare le tasse universitarie fino a cure mediche gratuite, posti di precedenza nell’assegnazione di case dello Stato, e così via. A questi andrebbero aggiunti anche coloro che lavorano nel complesso militare-industriale. Questa parte di popolazione vede la fine della guerra come una grande incognita, perché può significare tornare alla vita di tutti i giorni in cui si percepivano salari anche dieci volte inferiori rispetto a quanto si riceve al fronte o nella produzione bellica.

Quale è la soglia minima che la Russia è disposta ad accettare? Quale esito del negoziato permetterà a Putin di rivendicare una vittoria in questa guerra?

La soglia minima che la Russia è disposta ad accettare, come più volte ha detto lo stesso Putin, è il riconoscimento di quella che è la realtà sul campo ovvero quindi la conquista dei territori occupati dalla Russia. Questione più complicata è quella di capire cosa sia una vittoria per il Cremlino e cosa no. Cioè se quanto avviene oggi possa essere presentato come una vittoria tanto quanto un raggiungimento quelli che erano stati gli obiettivi che erano stati posti il giorno uno dell’Operazione Militare Speciale, quando si pensava di poter fare in modo di riuscire in poco tempo a spuntarla sull’Ucraina. Lo sforzo di questi anni ha comunque comportato delle difficoltà per la società e per l’economia russa, e il Cremlino deve far capire alla popolazione questo sforzo non sia stato invano.

Crede che Putin stia utilizzando in modo strumentale il processo diplomatico?

L’obiettivo di Putin è riuscire ad avere, costi quel che costi, una vittoria all’interno di questa guerra. E quindi in questo senso va bene qualsiasi mezzo, va bene se ci sono delle trattative, però al tempo stesso se si avanza, e se le trattative vanno male e al tempo stesso si è avanzati. Putin vuole avere una posizione dominante in Ucraina, perché a prescindere dai costi a livello umano, in termini di tempo, in termini economici e così via, Putin ha identificato la questione ucraina come fondamentale alla sopravvivenza del proprio regime. Quindi Putin combatterà per quanto sarà necessario combattere, quindi con ogni mezzo necessario.

Come interpreta l’evoluzione dei rapporti tra Stati Uniti e Russia nell’ultimo periodo?

Credo che da parte di Trump ci sia un interesse, anche a livello di immagine, nel riuscire a provare a normalizzare i rapporti con la Russia. Da parte russa, con le ultime azioni la retorica di questi tre anni e mezzo sul multipolarismo e sul bisogno di smettere di accettare i diktat di Washington si è sciolta di fronte a quello che è stato l’entusiasmo mostrato nei confronti dell’accettazione degli inviti da parte americana a confrontarsi. Quanto durerà tutto ciò? Difficile da dire. Dobbiamo capire prima di tutto ci saranno altri sviluppi sul campo. Al tempo stesso, Trump non può nemmeno permettersi di andare avanti all’infinito, perché è chiaro che per la sua immagine è un danno. Il vertice in Alaska un forte plus a livello d’immagine più per Putin che per Trump. E dubito che il presidente Usa voglia che questa situazione si perpetui.

L’esito dei negoziati influirà sui rapporti che Mosca ha con Pechino?

Sarà molto interessante capire come reagirà la Cina. Anche perché i rapporti tra le due potenze sono stretti, ma non troppo. Per fortuna di Kyiv, oserei dire, altrimenti i risultati sul campo potrebbe essere ben peggiori. La posizione di Pechino è particolare, ricordiamoci che la Cina non riconosce nemmeno i territori occupati come parte della Russia, non può farlo visto che rivendica la sovranità su Taiwan. Sarà molto interessante capire come questo avvicinamento tra Russia e Stati Uniti possa essere visto, anche alla luce del palese interesse di Washington a creare un solco nei rapporti tra i due attori eurasiatici.

La sopravvivenza di Putin dipende da una vittoria in Ucraina. La versione di Savino

“Putin vuole avere una posizione dominante in Ucraina, perché a prescindere dai costi a livello umano, in termini di tempo, in termini economici e così via, ha identificato la questione ucraina come fondamentale alla sopravvivenza del proprio regime. Il presidente russo combatterà per quanto sarà necessario combattere, con ogni mezzo necessario”. Conversazione con Giovanni Savino, docente presso l’Università Federico II

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