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La guerra russa in Ucraina delinea due frontiere nello scacchiere internazionale. Una fisica, quella di una nuova deterrenza militare della Nato ad Est per far fronte alla minaccia di Mosca. Un’altra invisibile e non meno decisiva per le sorti dell’Occidente democratico, spiega a Formiche.net il politologo americano Charles Kupchan, Senior Fellow del Council on Foreign Relations.

Cosa resta del summit Nato a Madrid?

Era destinato ad essere un summit storico. Stiamo scivolando in qualcosa di simile a una nuova Guerra Fredda, con una rimilitarizzazione sulla frontiera tra Est ed Ovest. La buona notizia è che sta accadendo più lentamente del previsto. Non vedremo, almeno per il momento, un nuovo muro di Berlino.

L’Alleanza però aumenterà la sua presenza in Europa.

È vero, la presenza americana in Europa finirà per raddoppiare. La Nato ha capito di dover aumentare la deterrenza contro la Russia per difendersi da un eventuale attacco. Putin dal canto suo ha perso una scommessa.

Quale?

Con l’invasione dell’Ucraina voleva riportare Kiev sotto l’egida di Mosca, indebolire la Nato, spezzare l’ordine globale del dopoguerra. Sta ottenendo l’opposto.

La Nato ha un end-game nella crisi?

Se c’è, ci vorrà tempo per definirlo. Trovo interessante che sia a Madrid che al G7 di Elmau in pochi abbiano parlato pubblicamente di diplomazia o cessate-il-fuoco. Solo Zelensky ha esplicitamente accennato alla fine della guerra entro l’inverno. Ma dubito intendesse una tregua: vuole piuttosto che l’Ucraina vinca questo scontro.

Il tempo gioca a sfavore dell’Occidente?

Sì. Per resistere tanto l’Ucraina quanto il fronte occidentale hanno bisogno di gestire la guerra e i suoi devastanti effetti economici sul piano interno. I tempi in cui un presidente americano poteva schierare truppe in Europa senza che una sola voce si alzasse al Congresso sono finiti. E l’inflazione presenterà presto il conto.

L’America traballerà?

Dopo un probabile successo alle elezioni di mid-term, una parte dei Repubblicani potrebbe spingere per una postura americana meno assertiva. Lo stesso rischio si corre in Italia. Il ritorno affrettato di Draghi dal summit di Madrid e le resistenze tra i Cinque Stelle sono il segno di un logoramento del fronte interno. Il vero banco di prova però deve ancora arrivare.

Quando?

Il prossimo inverno: cosa succederà quando la Germania o altri Paesi europei rimarranno a corto del gas russo e le persone non potranno più riscaldare le proprie case? La proposta di un tetto al prezzo del gas, sponsorizzata da Draghi al G7, è una buona idea per negare a Mosca gli extra-profitti dal mercato energetico. Metterla in pratica non sarà una passeggiata.

L’Italia viene spesso raccontata come crocevia tra Est e Ovest. Con la rivoluzione della Nato diventa frontiera?

L’Italia si trova in un’ottima posizione. Draghi è un leader capace e rispettato da Europa e Nato. Per un Paese solito a strizzare l’occhio alla Russia e reduce da lunghi periodi di instabilità politica non è scontato. La guerra in Ucraina è stata una sveglia: lo stesso viaggio del premier con Scholz e Macron a Kiev è un segno di come siano cambiati i tempi.

Nel Concetto strategico la Nato riconosce la partnership tra Russia e Cina. È ormai un dato di fatto?

È troppo presto per parlare di un nuovo blocco autoritario a trazione russo-cinese, non sappiamo quanto e se durerà la partnership. Di certo si è rafforzata ed è cresciuta stabilmente dal 2013, cioè da quando la Russia ha iniziato a isolarsi scivolando lentamente fra le braccia di Pechino.

Il sodalizio reggerà?

Sotto la superficie coveranno le tensioni. Inevitabile quando c’è un rapporto asimmetrico: se si parla di capacità economica e influenza sul piano globale, la Cina è molto più avanti del suo partner minore.

Per questo la Nato ora parla anche di sfida cinese?

Credo che la Nato abbia le idee chiare su cosa fare con la Russia: aiutare l’Ucraina a difendersi, colpire Mosca con le sanzioni, inviare più truppe al confine. Sono meno convinto che le democrazie liberali abbiano un piano altrettanto chiaro per fare i conti con la Cina. È stato identificato un problema, mancano le soluzioni.

Ce ne sono?

La verità è che non sappiamo con certezza dove sia diretta la Cina o dove si fermino le sue ambizioni. Inutile farsi illusioni: non esisterà, almeno nel breve periodo, una Nato o qualcosa di simile nell’Indo-Pacifico. Esiste però una strategia degli Stati Uniti e l’invito di Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda ne è un segnale eloquente.

Qual è, in definitiva, la grande sfida per l’Occidente?

La più grande sfida consiste nella deglobalizzazione innescata dalla guerra in Ucraina. Tutti in questi mesi abbiamo visto come dipendenza faccia rima con vulnerabilità. All’Occidente spetta ora il compito di trovare una strada per divincolarsi gradualmente non solo dalla Russia ma anche dall’abbraccio economico cinese.

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