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Caro Sergei

la sorpresa è reciproca. La tua per la posizione dell’Italia sulla guerra in Ucraina. La mia per la tua scelta di prestare credibilità alla narrativa della Federazione Russa sulla stessa guerra. Ammiro la tua professionalità. Ma le conversazioni che abbiamo avuto nel corso degli anni fanno a pugni con la difesa d’ufficio di una guerra di aggressione e delle sue tragiche conseguenze, umanitarie e politiche.

No, non ho intenzione di raccontare quello che ci siamo detti. Erano conversazioni private, senza mai farci mancare una vodka, fra due amici e colleghi i cui percorsi si incrociavano – a New York, a Mosca, a Oslo, a Corfù. Private devono restare.

Faccio un’unica eccezione, per una frase non detta in privato. A Oslo, nel 2007, per il Consiglio Nato-Russia. Ero stato appena nominato ambasciatore alla Nato. Accompagnavo il ministro Massimo D’Alema. Nello stringergli la mano tu gli dicesti, indicandomi: “Avete un vero multilateralista”. Da te, un gran complimento. Professionale, intellettuale e, soprattutto, umano. Era il retaggio della nostra esperienza di giovani primi segretari alle rispettive rappresentanze all’Onu a New York, primi anni ‘80, in interminabili riunioni della II Commissione – e delle partite amichevoli di calcio Nord contro Sud.

Se io ero multilateralista, cosa dire di te? Eri tornato alle Nazioni Unite da Rappresentante Permanente della Russia diventandone una delle voci più autorevoli e più ascoltate – anche da chi non era d’accordo con le posizioni che prendevi. Al Palazzo di Vetro ti muovevi come un pesce nell’acqua.

Se avessimo oggi un’altra conversazione a tu per tu, non ti chiederei se veramente pensi che Hitler fosse ebreo – a quello ci pensa il tuo omologo israeliano Yair Lapid – o che nel reparto maternità dell’ospedale di Mariupol si annidasse il battaglione Azov. Ma ti chiederei come concili il multilateralismo del tuo dna con l’invasione dell’Ucraina. La guerra fu iniziata il 24 febbraio dalla Federazione Russa, senza parvenza di provocazione o incidente.

Conosci meglio di me la Carta delle Nazioni Unite. Invadendo l’Ucraina, la Russia sta facendo esattamente quello che l’Articolo 1 vieta categoricamente: “La minaccia o uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato”. L’Articolo 52 stabilisce “l’inerente diritto all’autodifesa individuale o collettiva in caso di attacco armato contro uno Stato membro”: esattamente quello che fanno gli ucraini difendendosi e chi, come l’Italia, li aiuta a difendersi.

In questa guerra ci sono un aggressore e un aggredito. Come ha detto Antonio Guterres, “Ci sono truppe russe in Ucraina, non ci sono truppe ucraine in Russia”. Eri al suo fianco. Dev’essere stato un incontro difficile. Non tanto per la difesa delle azioni del tuo Paese: ci sei abituato e sei bravo a farlo. Ma perché le dovevi difendere di fronte a un interlocutore che non veniva a Mosca da avversario o nemico. Il Segretario Generale dell’Onu non rappresenta un’organizzazione regionale, come la Nato o l’Ue. Non è di parte, e tu lo sai benissimo. Rappresenta un’organizzazione universale alla quale hai dedicato energie e passione. Come ti sei sentito quando il tuo Paese gli ha dato il congedo con due missili che hanno colpito Kiev durante la sua visita – e fatto vittime civili? Dov’è finito il multilateralismo di cui andavamo fieri quando ci siamo conosciuti, pur in campi opposti della guerra fredda?

Lascia intanto che io risponda alla tua sorpresa. Non è difficile. Ti sei stupito che l’Italia sia “in prima fila tra chi promuove le sanzioni anti-russe”.

La Russia ha dimenticato la Carta, noi no. L’abbiamo messa nella nostra Costituzione. Abbiamo ripudiato “la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” – quello che invece la Russia sta facendo. Questo il motivo per cui sanzioniamo la Russia e continueremo a farlo fino a che continuerà l’aggressione all’Ucraina.

Si vede che non ci conosci.

Sinceramente,

Stefano Stefanini

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