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Nella vita di un essere umano raramente capita di essere nel posto giusto al momento giusto ma, alle volte, il “destino” può riservare qualche sorpresa. Ed è così che, da giovane studente di diritto canonico in una università pontificia romana, mi sono ritrovato a vivere, nel febbraio 2013, la rinuncia al soglio pontifico di Papa Benedetto XVI e, il mese successivo, la prima apparizione di Papa Francesco alla loggia centrale della Basilica di San Pietro con il suo celeberrimo: “Buonasera!”.

Poi è capitato – si direbbe quasi per ventura – che il 19 marzo 2013 fossi all’interno del Colonnato del Bernini in occasione della santa messa per l’imposizione del pallio e la consegna dell’anello del pescatore per l’inizio del ministero petrino del nuovo vescovo di Roma.
Il neo-eletto Papa Francesco si era ritrovato a inaugurare il suo servizio alla Chiesa Universale nel giorno di San Giuseppe. Nella sua vibrante omelia di inizio ministero incentrata sullo sposo di Maria, la parola più forte e significativa che egli ha pronunciato è stata: “custodire”.
Questo verbo, dal sapore così antico ma incredibilmente attuale, è stato il filo rosso di tutto il pontificato di Papa Francesco. Egli, infatti, attraverso i gesti, le parole e i suoi scritti ha cercato di custodire i doni che Dio ha fatto nel corso della storia alla Chiesa, agli uomini e alle donne di ieri e di oggi. Egli ha voluto custodire le persone nella loro integralità: a partire dagli ultimi, dagli emarginati, dai poveri, dai malati, dai carcerati, dai migranti per giungere ai giovani, ai bambini e agli anziani, alle coppie di sposi, fino ad arrivare a tutto il creato e alle sfide sociali dovute alla globalizzazione, ai conflitti, alle guerre e alle nuove tecnologie.

La custodia che Papa Francesco ha cercato di attuare, però, non si è mai identificata in una gabbia o in una conservazione dell’esistente all’interno di un circolo chiuso e asfittico in cui l’aria diviene rarefatta o l’acqua ristagna e imputridisce. Al contrario, per il Santo Padre, custodire voleva dire “debordare”, ossia andare oltre i bordi abitando i limiti, i quali non potevano essere più considerati come meri confini ma si dovevano qualificare come vere e proprie aperture verso l’altro e verso l’Alto, zone liminari in cui è possibile respirare a pieni polmoni l’unione tra il grande deposito della fede cattolica e l’esistenza concreta dell’essere umano d’oggi.

Infatti, come Papa Francesco ha affermato in più occasioni parafrasando Gustav Mahler, la vera tradizione: “Non è custodire le ceneri, ma custodire il fuoco”. Questo principio ha modellato il pontificato di Francesco: egli ha inteso accendere o riaccendere nei cattolici, negli uomini e nelle donne di buona volontà – e soprattutto nei giovani – il fuoco e la luce della “speranza”. Ad essa, infatti, il Papa ha dedicato il Giubileo Ordinario del 2025. Inoltre, più di una volta l’invito del Santo Padre è stato quello di “non lasciarsi rubare la speranza”, di volare alto, di mettersi in cammino verso le mete che Dio stesso indica lungo la via. Tutto questo richiama un testo del 2008 che, da arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio ha vergato per i giovani in ricerca vocazionale: “L’uomo non è un essere immobile, stagnante, bensì in cammino, chiamato, anzi vocato – da qui il termine vocazione –, e quando non entra in questa dinamica si annulla come persona e si corrompe. […] C’è qualcosa fuori e dentro di noi che ci chiama per realizzare il cammino. Uscire, andare, concludere, accettare la scoperta e rinunciare al rifugio… questo è il cammino”.

Ed è proprio su questa strada che Francesco ha mostrato una percorso da seguire: quello del “desiderio”. Esso, secondo il Papa, è “la bussola per capire dove mi trovo e dove sto andando, anzi è la bussola per capire se sto fermo o sto andando: una persona che mai desidera è una persona ferma, forse ammalata, quasi morta”.
Per passare dalla morte alla vita, dal sepolcro alla resurrezione, il Papa ha indicato l’arte, la letteratura e la poesia come quei solchi tracciati nel cuore dell’essere umano, in cui scorre la linfa vitale che permette di portare la gioia nelle strade del mondo, la luce nel buio più profondo. Infatti, come egli stesso ha affermato in una sua lettera del 20 gennaio 2025 indirizzata a padre Antonio Spadaro: “Dobbiamo recuperare il gusto per la letteratura nella nostra vita, ma anche nella formazione altrimenti siamo come un frutto secco. La poesia ci aiuta tutti a essere umani, e oggi ne abbiamo tanto bisogno”.

Ecco, dunque, che Papa Francesco ha voluto custodire anche le parole, le storie piccole e grandi delle persone comuni che, però, possiedono nel loro intimo un tesoro prezioso da dischiudere attraverso il racconto della propria esistenza quotidiana. Infatti, come il Romano Pontefice ha evidenziato in un messaggio per la giornata mondiale delle comunicazioni sociali del 2020: “L’uomo è un essere narrante perché è un essere in divenire, che si scopre e si arricchisce nelle trame dei suoi giorni”. E queste trame costituiscono l’ordito dell’arazzo della vita di ogni uomo e donna che vive sulla Terra.

Anche il pontificato di Papa Francesco è stato un grande racconto, un libro ambientato nelle strade dell’Argentina, dell’Italia e di tutto il mondo. I viaggi, le riforme, i discorsi, gli sguardi, i silenzi, gli abbracci, i moniti, i sorrisi del Papa avevano come orizzonte di senso un principio che egli ha affermato nel 2013 nella Costituzione Apostolica Evangelii gaudium, il suo manifesto programmatico: “Il tempo è superiore allo spazio. […] Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi”.
Oggi, a dodici anni da quelle affermazioni, è possibile dire che Francesco, il Papa “custode” venuto quasi dalla “fine del mondo”, ha avviato tanti processi che il suo successore sarà chiamato a percorrere, forse per altre strade, forse su vie ancora inesplorate, ma sicuramente su sentieri umani e spirituali affascinanti e sempre imprevedibili.

Addio Papa Francesco, pontefice custode che avviava i processi. Il ritratto di Sassanelli

Di Ivano Sassanelli

Francesco, il Papa “custode” venuto quasi dalla “fine del mondo”, ha avviato tanti processi che il suo successore sarà chiamato a percorrere, forse per altre strade, forse su vie ancora inesplorate, ma sicuramente su sentieri umani e spirituali affascinanti e sempre imprevedibili. La riflessione di Ivano Sassanelli, professore di Diritto Canonico (Facoltà Teologica Pugliese – Bari) e di Educazione Interculturale per la Pace Sociale (Istituto Universitario SSML Bona Sforza – Bari)

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