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“Lussuria, lussuria; sempre guerra e lussuria; non c’è nient’altro che rimanga di moda”, scriveva William Shakespeare nel suo “Troilo e Cressida”. Di questi tempi le due mode (tragiche) sono accompagnate da un’altra, quella dell’informazione, “infodemica” come la si definisce, ovvero informazione eccessiva, martellante e spesso fuorviante.

È quasi un’utopia augurarsi una tregua di bombe e proiettili, ma anche di parole e di talk show. Eppure ragione e cuore di molti sono affaticati più che mai. Certo niente a che vedere con chi, ora, in Ucraina soffre la guerra, la fame, l’esilio e i nostri salotti, reali, sociali o televisivi, stridono con la realtà della guerra, tanto da diventare offensivi. Così non è solo la spada ad uccidere, ma anche la lingua, la comunicazione diremmo oggi.

Lo ricorda la Scrittura: “Molti sono caduti a fil di spada, ma non quanti sono periti per colpa della lingua” (Sir 28, 18). Mi è sembrato – ma posso sbagliarmi – che negli ultimi giorni uno dei settori più attraversati da spade e lingue sia stato quello religioso, con tante strumentalizzazioni. Non sono solo il presidente Putin, il patriarca Kirill I, il teologo Dugin (come ha ben spiegato qui Riccardo Cristiano) si industriano nell’usare in mala fede la religione, sfiorando la blasfemia, ma anche diversi altri servi e maestri della strumentalizzazione.

In questo clima si fa ancora fatica ad affermare, con ferma ragione e cuore aperto, che chi uccide nel nome di Dio non crede in Dio. Tra i tanti Papi ad averlo detto con forza, ricordiamo, per esempio, Giovanni Paolo II: “Non si può uccidere e distruggere in nome della religione né manipolare la stessa secondo propri interessi” (28.6.2000). Per non parlare dell’opera di Papa Francesco, in tutti questi anni di pontificato, fino ad arrivare al documento di Abu Dhabi, firmato con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb.

Lì scrivono: “Chiunque uccide una persona è come se avesse ucciso tutta l’umanità e chiunque ne salva una è come se avesse salvato l’umanità intera”. Chi usa la religione per giustificare guerre e violenze non crede in Dio e credo che ciò valga per tutte le religioni, specie monoteiste. Non si tratta di gareggiare a quantificare chi ha sofferto di più (pensiamo ai vari olocausti avvenuti nella storia) o chi ha sbagliato di più, nemmeno di radicalizzare le posizioni degli uni e degli altri, ma di rendere più solido il cammino della pace evitando estremismi, semplificazioni, radicalizzazioni, strumentalizzazioni, muri e razzismi vari. E l’uso strumentale e ideologico delle parole e della religione, come anche il riproporre la religione su base etnica, rendono questo cammino fragile e indeboliscono il processo di pace.

Fanno anche molto pensare le varie titubanze nell’offrire un aiuto militare all’Ucraina per difendersi da una aggressione sanguinaria e spietata. Credo che dovremmo essere più chiari e precisi e non confondere il termine guerra con quello di difesa popolare armata; anche lo stesso magistero cattolico ne parla e lo considera etico, sotto alcune condizioni stringenti (come ho precisato qui).

Non si diventa “guerrafondaio” perché si approva la difesa armata. Testimoni di pace del calibro di Lorenzo Milani, Dietrich Bonhoeffer non hanno esitato nel sostenere la difesa armata in aggressioni di popoli. Nella complessità di colpe e omissioni, il quadro del conflitto ucraino certamente pone molti distinguo. E chiaramente, e come sempre, la questione non è affatto tutta bianca da una parte e tutta nera dall’altra. Ma avvenuta l’invasione-aggressione, che fare se non aiutare chi si sta difendendo? Mai la guerra è giusta. La questione qui è difendere dall’aggressore se stessi e gli altri (specie piccoli, anziani e indifesi). Come fu nella Resistenza. Come si dovrebbe fare se aggrediscono qualcuno in mia presenza: fare di tutto per salvarlo. Dopo vengono tutte le discussioni e strategie politiche, diplomatiche, filosofiche, teologiche, analitiche, storiche ecc. Ma forse i nostri salotti – come i miei, come i nostri – sono troppo lontani dai bombardamenti e come scriveva ancora Shakespeare dovremmo dare parole solo al dolore e non ad altro:

“Date al dolore la parola; il dolore che non parla, sussurra al cuore oppresso e gli dice di spezzarsi” (Give sorrow words: the grief that does not speak. Whispers the o’er-fraught heart, and bids it break, Macbeth).

 

 

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