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Le forze russe ammassate lungo i confini dell’Ucraina sono aumentate di circa 7.000 unità negli ultimi giorni. Tale incremento di forze rende “false” le affermazioni di Mosca circa un iniziale e parziale ritiro dal confine. È quanto dichiarato da un alto funzionario dell’amministrazione statunitense in un briefing prima della partenza della vicepresidente Kamala Harris per la Germania, dove parteciperà alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco e incontrerà il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. “Ogni indicazione che abbiamo ci dice che intendono solo fare affermazioni sulla riduzione dell’escalation, mentre si preparano silenziosamente per la guerra”, ha detto il funzionario. Le nuove stime porterebbero il numero delle forze russe al di sopra delle 150.000 unità, cifra citata dal presidente Joe Biden in un discorso televisivo all’inizio di questa settimana.

Non sarebbe la prima volta che Mosca annuncia un ritiro senza metterlo in atto. Anna Borshchevskaya, ricercatrice al centro studi americano The Washington Institute, ha fatto una breve ricognizione.

Partiamo dalla Siria. Il presidente Vladimir Putin annuncia un ritiro parziale delle forze armate russe a distanza di un anno dall’intervento a sostegno del regime di Bashar al-Assad. Il New York Times cita funzionari americani secondo cui il Cremlino “aveva raggiunto un punto di svolta nella sua campagna, dove i costi, a livello interno e internazionale, di rimanere impegnato superavano i vantaggi”. Ma il ritiro non c’è stato. Così come non c’è stato quello dell’anno dopo. Anzi, oggi Mosca ha le basi navali e aeree in Siria per mettere pressione sull’Ucraina.

Un passo indietro, all’invasione sovietica dell’Afghanistan del 1979 e gli anni successivi. Il Cremlino ha periodicamente annunciato “ritiri” per confondere gli Stati Uniti, ricorda l’esperta. Tanto che alla vigilia di un vertice del dicembre 1987 tra il presidente statunitense Ronald Reagan e il leader sovietico Mikhail Gorbaciov, il Wall Street Journal chiedeva: “Quante volte i sovietici possono annunciare il loro ritiro dall’Afghanistan senza effettivamente farlo?”.

A differenza di quanto accade in Occidente, prosegue Borshchevskaya, in Russia non c’è alcun scollamento tra diplomatici e militari: al contrario, l’approccio è “whole of government”, di tutto il governo compatto. Ecco perché, anche guardando ai precedenti, meglio prestare attenzione: Mosca potrebbe “preparare la scena” annunciando la de-escalation e dimostrando il desiderio di allentare le tensioni, ma al solo fine di “inventare” un pretesto che giustifichi un’incursione: “Putin potrebbe essersi già avvicinato a un punto di non ritorno, dove non può andarsene a mani vuote dall’Ucraina, e poiché l’Occidente giustamente non soddisferà le sue richieste estreme, non avrà altra scelta che agire”, scrive.

Le ultime notizie dall’Est dell’Ucraina sembrano andare nella direzione tracciata dall’esperta. Le autoproclamate repubbliche popolari di Luhansk e Donetsk hanno denunciato attacchi da parte dell’esercito ucraino, con le milizie filorusse che hanno reso noto di aver risposto al fuoco. Potrebbe essere questo il pretesto per Mosca?

Dall’Afghanistan alla Siria, tutti i non-ritiri delle truppe di Putin

Guardando ai precedenti, meglio prestare attenzione: Mosca potrebbe “preparare la scena” annunciando la de-escalation ma cercando allo stesso tempo un pretesto che giustifichi un’incursione. L’avvertimento di Borshchevskaya (The Washington Institute)

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