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Negli ultimi cento anni, il warfare è stato soggetto ad un processo di evoluzione continuo quanto veloce. Le strabilianti scoperte tecnologiche avvenute tra la fine del diciannovesimo e l’inizio del ventunesimo secolo hanno infatti contribuito a stravolgere pressoché ogni singolo aspetto delle modalità di confronto militare tra eserciti avversari. Ma in questa continua trasformazione, ci sono alcune costanti. Una di queste è il ruolo principe dell’artiglieria nella dottrina delle forze armate della Russia, quell’arma che il dittatore sovietico Josif Stalin ha definito, forse a ragione, “il Dio della Guerra”.

Questo non vuole però dire che ci sia stata una sorta di cristallizzazione, anzi. Pur mantenendo la sua centralità nello svolgimento delle operazioni militari, l’artiglieria russa si è sviluppata. nel corso dei decenni assieme all’esercito di Mosca, adattandosi alle nuove esigenze dei sempre differenti campi di battaglia. Un’ampia e omnicomprensiva panoramica di questo processo di evoluzione ed adattamento è offerta da un articolo pubblicato dal Royal United Services Institute firmato da Giangiuseppe Pili, Brett Evans e Ryder Finn, che si sofferma sulle principali campagne militari condotte dallo stato russo nelle sue varie forme, da quella imperiale a quella sovietica, arrivando fino a quella attuale.

Dall’offensiva Brusilov del 1916, primo grande momento in cui Mosca ha sfruttato l’artiglieria secondo i principi che ancora oggi regolano il suo utilizzo da parte delle forze armate russe, alla seconda guerra mondiale, con l’introduzione dei cannoni anticarro e dei Multiple Rocket Launch Systems (quella “Katyusha” che tutt’oggi, a ottant’anni di distanza, continua a mantenere un’aurea leggendaria), arrivando all’Afghanistan e alle guerre in Cecenia. Gli autori del commentary non si limitano all’aspetto tecnico, ma forniscono una lettura trasversale del ruolo dei cannoni nella concezione militare del Cremlino.

Una lettura che oggi suona più attuale che mai, pensando alle dinamiche del conflitto in corso in Ucraina: “Anche se non incute timore come i bombardamenti aerei, l’ampio uso dell’artiglieria da parte della Russia si è dimostrato efficace e rimane difficile da contrastare. Il significato dell’artiglieria nella guerra russa va oltre la sua efficacia sul campo di battaglia. Nel corso della storia e fino al momento attuale, il suo impiego ha avuto un significato politico diretto, servendo come dimostrazione visibile della determinazione della Russia a raggiungere i suoi obiettivi, indipendentemente dal livello di distruzione o di vittime civili coinvolte. L’impatto psicologico dell’artiglieria russa non è una conseguenza involontaria, ma una caratteristica deliberata della sua strategia di guerra”.

L’analisi si spinge anche oltre il contributo dell’artiglieria all’esito di un singolo scontro isolato, e sfiora quel labile confine, delineato da Carl von Clausewitz, che esiste tra guerra e politica. Gli autori suggeriscono infatti la possibilità che nelle guerre future la Russia potrebbe decidere di impiegare il suo vasto e terribile arsenale di cannoni come mezzo per esercitare pressione politica e psicologica, oltre che per fare signaling della sua determinazione e delle sue intenzioni, sia all’interno che all’esterno.

Una prospettiva che appare tutt’altro che irrealistica. Soprattutto pensando ad alcune tipologie di artiglieria di cui la Russia dispone: sistemi d’arma come i Tos-1 “Buratino”, lanciarazzi termobarici multipli in grado di fare terra bruciata dell’area bersaglio, non hanno controparti negli arsenali occidentali, e sono indizi di come Mosca intende combattere le guerre di oggi e di domani. Certamente con droni, main battle tanks, elicotteri. Ma anche, e forse soprattutto, a colpi di cannone.

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