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In una conversazione con Formiche.net, Deborah Bergamini, vicesegretaria e responsabile Esteri di Forza Italia, membro della Commissione Esteri della Camera, offre un’analisi del ruolo italiano sul palcoscenico internazionale, evidenziando la centralità delle relazioni transatlantiche, la spinta in Africa, il senso della proiezione nell’Indo-Mediterraneo.

L’Italia ha un ruolo chiave nelle relazioni transatlantiche, confermato dal sostegno all’Ucraina e dagli impegni Nato: alla luce del ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca sembra necessario prepararsi a un rimodellamento di ciò che storicamente conosciamo? Come può Roma equilibrare il legame con Washington e il ruolo nell’Ue?

Attraverso una paziente, costante, instancabile opera di dialogo e confronto, ancor più nel momento attuale, in cui l’avvio dell’amministrazione Trump, che ha portato con sé un cambio radicale nelle modalità d’azione della Casa Bianca, di fatto sta rendendo non scontati i margini del dialogo tra Europa e Stati Uniti. Dunque partire dai punti in comune, anche quando sembra difficile trovarli. È la “dottrina Berlusconi”, il lascito politico del nostro leader.

Facciamo degli esempi: i dazi?

Sappiamo bene quanto gli americani amino i prodotti italiani di qualità. Sappiamo bene, al contrario, quanto non solo l’Italia ma l’intera Europa costituisca un importante bacino d’acquisto per i prodotti americani. Ricordiamoci che l’Europa è il più grande mercato del mondo. Dunque un’eventuale stretta sarebbe un danno per tutti, anche per loro.

Ancora, un altro tema chiave: la difesa?

Non farebbe bene a nessuno, neanche agli Stati Uniti, disarticolare l’Occidente. Le dittature hanno delle sinergie militari e finanziarie che stanno sviluppando, dunque a lungo andare la separazione tra le due sponde dell’Atlantico potrebbe rivelarsi pericolosa per il “blocco delle democrazie”. Ecco, nonostante i toni e le asperità, abbiamo la responsabilità di trovare punti di caduta. In questo senso, come lei ricorda nella domanda precedente, l’Italia gioca un ruolo molto importante.

In questi ultimi mesi abbiamo assistito al concretizzarsi di iniziative nell’ambito del Piano Mattei. Tuttavia, la crescente attività russa in Africa sembra interferire con i progetti italiani (contraltare strategico di una serie di attacchi che hanno colpito anche il territorio italiano con l’obiettivo di legittimarne la leadership). Altri attori rivali e competitor si muovono nel continente. E dunque: a che punto è la strategia italiana?

Nella domanda ha centrato la questione: con il Piano Mattei, l’Italia apre una sorta di “via europea” per l’Africa, per portare sviluppo, scolarizzazione e investimenti. Si tratta di un’alternativa naturale rispetto all’interventismo dei cosiddetti “nuovi attori”, Russia appunto, ma anche la Cina, che al contrario hanno una logica neo-coloniale basata su vere e proprie predazioni di risorse naturali o la presa in possesso di interi asset. Il governo italiano ha già varato numerosi progetti, con il relativo stanziamento di fondi, in un’ottica di vera partnership con alcuni Stati africani. Ne cito qualcuno. Un piano da 15 milioni di euro per progetti educativi, promossi da Osc italiane, destinati alla Costa d’Avorio. Dove, peraltro, sono stati stanziati anche 49 milioni per il sostegno al sistema sanitario. In Etiopia, 25 milioni per un progetto di sviluppo urbano sostenibile. Vanno poi considerate le collaborazioni avviate con le banche di sviluppo regionali e multilaterali, tra cui voglio ricordare l’accordo con la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, firmato dal ministro Tajani.

Tocchiamo un altro ambito della proiezione italiana: il recente ritorno di Nave Vespucci a Trieste, dopo il suo “World Tour”, sembra segnare un evento simbolico. Trieste può rappresentare l’hub non solo italiano, ma anche il “porto d’Europa”, per un progetto trasformativo come Imec. La “golden route” che si disegna attorno al corridoio traccia il perimetro del concetto geostrategico di “Indo-Mediterraneo” — su cui tra l’altro sta investendo interesse anche Washington. L’Italia c’è?

Il concetto di Indo-Mediterraneo si sta rapidamente affermando. Per l’Italia è cruciale, io lo considero una della tre grande direttrici strategiche della nostra politica estera insieme al rafforzamento del patto atlantico e al nostro investimento in Africa col Piano Mattei. L’Imec, pur nelle complessità che ci sono, rappresenta un’opportunità straordinaria e bisogna lavorarci con determinazione.

Qual è la caratteristica unica che Roma può rivendicare e su cui muovere la strategia?

L’Italia ha due punti di forza. Il primo punto riguarda il fatto che Imec può integrare una “diplomazia commerciale” che rappresenta un punto di forza per la nostra economia. Il secondo punto riguarda la vitalità del nostro tessuto produttivo, dove agiscono molte imprese vocate all’internazionalizzazione che dunque possono rappresentare un valore aggiunto di interscambio. E in questo senso Trieste è il porto di sbocco ideale, con le sue caratteristiche, per l’approdo del corridoio verso l’Europa. Pochi giorni fa ho partecipato proprio a Trieste ad una riunione con la comunità imprenditoriale della città, pronta a fare la sua parte.

Non senza competitor, però…

I competitor ci sono. La Francia sta puntando su Marsiglia, un porto più decentrato rispetto a Trieste. Ma il nostro governo si sta muovendo con grande impegno. In aprile il ministro Tajani si recherà in India e all’ordine del giorno ci sarà anche l’Imec. E prima di allora conto che avremo nominato un Inviato Speciale per il corridoio. Un segnale ulteriore di quanto questa progettualità sia prioritaria per l’Italia.

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