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A qualcuno è parsa una ramanzina, ad altri l’antifona che precede una bocciatura. Ma la verità è che l’Europa, nel raccomandare all’Italia di accelerare sulle riforme propedeutiche all’incasso del Recovery Plan, non ha fatto nulla di diverso dal passato, dice con convinzione a Formiche.net Veronica De Romanis, economista presso la Luiss e saggista, grande esperta di cose europee. E allora, un motivo in più per non allarmarsi e piuttosto lavorare a capo chino proprio su quelle riforme che se inanellate garantiranno all’Italia i 200 e passa miliardi del Pnrr.

L’Europa sembra aver bacchettato l’Italia sulle dita, come si faceva a scuola una volta. Come stanno le cose?

Mettiamo le cose in chiaro. L’Unione europea ci ha detto quello che ci ripete da sempre: attenzione al debito, al deficit e alle riforme. Tutto già sentito. Finalmente però abbiamo il Pnrr e dunque il messaggio è anche un altro, quello di andare avanti con il Piano ma in un contesto molto diverso da quello pandemico.

Perché diverso? Che cosa è cambiato?

C’è un’inflazione che prima non c’era e c’è un contesto di tassi in rialzo. Il che, ovviamente, non può non impattare sul debito pubblico italiano. Per questo non si può mai dimenticare di tenere sotto occhio la nostra esposizione, come ci ha ricordato l’Europa stessa.

In autunno ci sarà forse la prima vera pagella sull’attuazione del Pnrr. Nel governo servirebbe tenerlo a mente, dopo quanto visto in questi giorni?

La maggioranza non ha più scuse. Qui non si tratta di fare le riforme perché ce lo chiede Bruxelles, ma di farle perché le riforme medesime sono state scritte dal governo nel Pnrr. Il governo si è impegnato dinnanzi all’Ue e ora deve onorare l’impegno. Anche perché ha delle precise responsabilità verso le future generazioni: lo possiamo chiamare debito europeo, ma sempre debito è. E i debiti si pagano.

Lei ricorre spesso alla parola debito. Perché è così importante?

Le faccio un esempio per farla capire quanto oggi il debito sia diventato una variabile fondamentale. Nella Nota di aggiornamento al Def, lo scorso settembre, il governo prevedeva una spesa in interessi sul debito sovrano di 2,9 miliardi, ma nel Def di aprile tale voce è arrivata a 3,5 miliardi. Questo fa capire perché il rapporto debito/Pil non può non essere messo su una traiettoria discendente.

Prima abbiamo accennato ai tassi, che la Banca centrale europea si appresta ad alzare dopo anni di politica ultra-accomodante. Tempismo giusto rispetto alla Fed?

A Francoforte lo hanno detto spesso, gli Stati Uniti hanno una situazione diversa, sono in piena occupazione e sono entrati nella spirale salari-prezzi e quindi sono intervenuti prima di noi. L’Europa no. La Bce sta terminando il programma di acquisti di debito e piano piano sta entrando in un contesto di tassi in rialzo. Ma, come detto, la situazione europea non è comparabile con quella americana.

Eppure ci si chiede se una stretta sul costo del denaro riuscirà a fermare l’inflazione. Lei che dice?

Il problema è che la stretta ha come obiettivo quello di frenare l’inflazione. Ma può anche rallentare l’economia e qui torniamo al debito. Tanto più ho un debito moderato e sostenibile e tanto più posso aiutare l’economia. Un debito pubblico, scusi se insisto, limita lo spazio di azione di un governo oltre a essere un enorme costo per lo Stato.

L'Italia si gioca tutto sul debito. De Romanis legge il monito dell'Ue

Intervista all’economista della Luiss: da Bruxelles nessuna ramanzina, semmai un pro memoria al governo Draghi e alla maggioranza che lo sostiene, che adesso si trova a muoversi in un contesto di inflazione e tassi in risalita, molto diverso da quello pandemico. Con il debito non si scherza, il rischio è bruciare le generazioni future. La Bce agirà al momento giusto, negli Usa dovevano intervenire prima

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