Skip to main content

Pur nella sua oggettiva gravità, la situazione attuale in Ucraina si potrebbe definire con la frase “nulla di nuovo sotto il sole”.

Vladimir Putin ci ha abituato ad azioni di forza al di fuori dei propri confini quando i problemi interni del suo Paese lo mettono in difficoltà, a dimostrazione di come la politica internazionale non si possa comprendere a fondo se non alla luce delle dinamiche interne dei vari Paesi. Ad ogni discesa del suo indice di popolarità, il presidente russo reagisce mostrando i muscoli al di fuori dei propri confini, per riacquistare credito da parte dei propri cittadini, facendo leva sull’orgoglio nazionalista del proprio popolo.

Accadde nel 2008 con l’occupazione di due province della Georgia, l’Abkhazia e il Sud Ossezia, tuttora sotto il controllo militare russo. Successivamente, in reazione agli eventi di piazza Maidan a Kiev, nel 2014 Mosca si annesse la Crimea dopo un  referendum-farsa e iniziò a sostenere i ribelli antigovernativi nel Donbas, la regione orientale dell’Ucraina.

Nel 2017 il fenomeno si ripeté con l’invio di truppe in Siria e, in seguito, con l’espansione del proprio protagonismo militare nel Mediterraneo, fino alla Libia. E non si possono dimenticare i cosiddetti “conflitti congelati” della Transnistria e del Nagorno-Karabakh, che, in misura e con modalità diverse, Putin spegne e riaccende a proprio piacimento.

In questo momento la sua leadership interna è messa a dura prova dal perdurare della crisi economica e da una disastrosa gestione della pandemia, oltre alle sempre più evidenti violazioni delle libertà di espressione, come nel caso di Alexsej Navalny. Avevo ipotizzato che la prossima azione di Putin potesse riguardare la Transnistria, soprattutto dopo che le elezioni in Moldova avevano sancito la vittoria della europeista Maia Sandu, ma evidentemente il crollo verticale di popolarità ha fatto preferire al presidente russo un bersaglio nettamente più grosso e visibile.

Ammassando una grande quantità di truppe ai confini con l’Ucraina, egli ha nuovamente rialzato le tensioni con la Nato, al punto che le possibilità di una guerra appaiono, dopo il 2014, nuovamente reali. Per giustificare l’uso della minaccia militare e, soprattutto, per allontanare il rischio, per lui inaccettabile, di una adesione dell’Ucraina alla Nato, Putin rispolvera l’antica narrativa dell’espansione a est della Alleanza Atlantica. Una narrativa che trova illustri seguaci anche in Occidente, dove di petro-rubli ne sono circolati molti. Italia inclusa.

L’atteggiamento muscolare di Mosca e le sue irricevibili richieste alla Nato fanno parte di una liturgia che ha caratterizzato a lungo la guerra fredda, ma che oggi, in un mondo multipolare, appare sinceramente anacronistica. L’unica considerazione che la giustifica è che la Russia, gigante dai piedi d’argilla, può continuare a ricoprire un ruolo globale solo agitando l’arma, evidentemente a doppio taglio, della chiusura delle forniture energetiche all’Occidente e con la sottaciuta, ma reale, minaccia costituita dalle 7000 testate nucleari di cui dispone. Altre carte da giocare Putin non ne ha, tranne le incursioni informatiche dei suoi hacker nei sistemi di sicurezza dei Paesi rivali.

Difficile pronosticare fino a che punto Putin tirerà la corda: personalmente ritengo che un conflitto aperto non si verificherà. In fondo, una situazione analoga si verificò già nel 2014 con l’aggravante, a quel tempo, di una Nato che aveva ridotto sensibilmente la propria capacità di deterrenza e di una Ucraina militarmente debolissima. Ricordo che a quell’epoca in casa Nato si pensava che Mosca potesse prendere Kiev in pochi giorni, ma ciò non accadde.

Probabilmente, la vera mira di Mosca è una sorta di trade-off che comporti l’annessione alla Russia di una parte, più o meno grande, dell’Ucraina, a fare da cuscinetto nei confronti di una adesione di Kiev alla Alleanza Atlantica che, prima o poi, è destinata a verificarsi.

È, tuttavia, assai probabile che l’inevitabile gioco delle parti si risolva, alla fine, in un nuovo nulla di fatto. Del resto, pur nell’apparente dialogo tra sordi che ha finora contraddistinto le trattative tra Nato e Russia, nelle ultime ore si sono udite, sia dai vertici dell’Alleanza, sia da parte ucraina, dichiarazioni che fanno pensare a un prossimo detensioning.

Tuttavia le guerre sono brutti animali, perché quando si superano i limiti della ragionevolezza le situazioni possono precipitare. E se lo zar Putin dovesse crollare ulteriormente nel consenso interno, non si potrebbe escludere da parte sua il gesto estremo del ricorso ad un conflitto armato che potrebbe avere conseguenze devastanti.

Da ultimo, nel grande risiko della geopolitica attuale dove tutto è rigorosamente interconnesso, non si può non tener conto dei recenti fatti del Kazakhstan. Al di là dei giudizi su quanto sta accadendo in quel Paese, non v’è dubbio che un impegno militare russo nell’area costituirebbe un ulteriore gravoso impegno per Mosca, in termini sia economici, sia militari e ciò potrebbe contribuire a rendere difficilmente sostenibile la prosecuzione della minaccia ai confini ucraini.

Staremo a vedere, certo quello del Donbass non può essere considerato un conflitto congelato, dato che la sua temperatura non si è mai abbassata fin da quando ebbi l’occasione di visitare personalmente il fronte oltre Mariupol in un anno, il 2015, che sembra un lontano ricordo ma che dista da oggi poco più di un lustro.

Del resto, la velocità dei cambiamenti è, purtroppo, inversamente proporzionale alla nostra capacità di memoria.

Ucraina, Putin sterzerà. Prima di schiantarsi

Solo chi non ha osservato da vicino Vladimir Putin si sorprende delle sue manovre al confine con l’Ucraina. L’accerchiamento militare e il pressing contro la Nato rientrano in un piano di lungo periodo. Che può funzionare, o finire male. Il commento di Paolo Alli, già presidente dell’Assemblea parlamentare della Nato

I ministri della Sanità europei si riuniscono, ma sul Covid vanno in ordine sparso

I ministri europei della Sanità hanno adottato una raccomandazione su un approccio coordinato per agevolare la libera circolazione in sicurezza durante la pandemia. Ma per combattere il Covid in questa fase le strategie interne sono divergenti. Il commento di Giuseppe Pennisi

Belloni e il pregiudizio (sbagliato) sull'intelligence. La versione di Caligiuri

Un tweet di un apprezzato giornalista straniero ravvede nell’ipotesi di un’elezione della direttrice del Dis Elisabetta Belloni al Colle o a Chigi un rischio per la politica. Mario Caligiuri, presidente della Società italiana di intelligence, commenta pregiudizi ed equivoci intorno al mondo della sicurezza nazionale italiana

Talebani a Oslo. Cosa (non) va nei dialoghi con l’Occidente

Di Vas Shenoy

Dopo gli accordi tra Israele e Palestina, la Norvegia cerca di gettare le basi per i negoziati con i Talebani. Ma la situazione ben è diversa. Il commento di Vas Shenoy

C'è bisogno di realismo nel riformare il Patto di stabilità. L'analisi di Zecchini

Il dibattito sulla riforma del Patto di Stabilità e Crescita si è riaperto con l’intervento congiunto di Macron e Draghi per una nuova impostazione delle politiche di bilancio nell’Unione Monetaria Europea. Ma pur avendo stimolato questa iniziativa molte proposte da parte degli economisti, è necessario ricordare che convincere i mercati finanziari della sostenibilità delle scelte che si faranno è fondamentale. L’analisi di Salvatore Zecchini

Ivan, ragazzo soldato in Ucraina. Ciccotti racconta il capolavoro di Tarkovskij

Fine gennaio 1962. In Ucraina il regista russo Andrej Tarkovskij girava quello che sarebbe stato un capolavoro degli anni Sessanta: “L’infanzia di Ivan” (Leone d’oro a Venezia). Un film sulla guerra contro l’invasione nazista. Russi e ucraini combattevano insieme. Il set naturale, che ricostruiva il Fronte del 1944, oggi potrebbe tornare a essere campo di battaglia vero. Ma stavolta tra fratelli slavi

Quelle schede bianche che ci parlano di un Parlamento liquido

Sì, quelle schede bianche sono un passo dal valore sottovalutato. Ecco che nomi come quelli di Draghi e Belloni appaiono a opinioni pubbliche diverse come autentiche ancore di salvezza da una politica barricata nel Palazzo, nella tutela del proprio ruolo personale. La riflessione di Riccardo Cristiano

Francesco Rocca, un italiano ai vertici delle attività internazionali di sostegno e solidarietà

Oggi vi voglio parlare di una persona che rende onore all’Italia, per cui i suoi nome e volto non sono familiari, come accade nel più di queste occasioni in cui l’aporia la fa da padrone

L'ultimo miglio è il più difficile. Ma sarà anche il più devastante?

La sostanza è che forse sull’elezione del successore di Mattarella si consumerà l’equilibrio politico raggiunto nel febbraio scorso. Con una conseguenza micidiale, e cioè che Mario Draghi rischia di non arrivare al Quirinale e di dover lasciare Palazzo Chigi, spianando la strada alle elezioni anticipate. Un esito infausto. Il mosaico di Carlo Fusi

L’incontro aziende-Putin non piace al Copasir. Ecco la nota

“L’esigenza di mantenere buoni rapporti commerciali con le aziende russe non può compromettere l’affidabilità transatlantica dell’Italia”, dicono Borghi (Pd), Dieni (M5S) e Vito (FI)

×

Iscriviti alla newsletter