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Un po’ il deprezzamento dello yuan sul dollaro, un po’ l’incomprensibile strategia zero-Covid. In mezzo, un’economia che così forte non è, il tutto condito da una spolverata di repressione sull’industria tecnologica. E allora, nell’attesa ti tempi migliori, se mai arriveranno, meglio girare al largo dal Dragone. Che in Cina sia in atto una vera e propria fuga di capitali non è una novità.

Però adesso ci sono i numeri, altri numeri, quelli del Financial Times. A Londra hanno fatto i calcoli, scoprendo che sì, qualcosa nella seconda economia globale non torna. Per esempio che dall’inizio dell’anno i gestori di fondi esteri hanno venduto obbligazioni in yuan per un controvalore di 35 miliardi di dollari e questo per colpa essenzialmente del progressivo indebolimento della moneta cinese scesa in questi mesi di quasi il 5% rispetto al dollaro.

Ma c’è lo zampino anche dei fallimentari e spaventosi lockdown messi in atto dal governo di Xi Jinping, Shanghai valga su tutti, materializzatisi collateralmente all’aumento dei rendimenti sui titoli pubblici statunitensi. Un mix che ha ridotto l’appetito degli investitori per il debito cinese. D’altronde, lo stesso aumento dei tassi di interesse nelle economie avanzate, in particolare negli Stati Uniti ma anche in Europa (il Bund è tornato di recente sopra l’1% e il Btp decennale italiano ha più volte toccato quota 3%), non poteva non spingere gli investitori al disimpegno, essendo venuto meno il vantaggio derivante dalla detenzione di obbligazioni cinesi.

E che la fuga sia stata precipitosa lo dimostra anche un altro fatto, menzionato dallo stesso quotidiano britannico. E cioè che sia gli investitori a lungo termine sia gli speculatori, come gli hedge fund, si sono ritirati dal debito cinese a un ritmo più rapido di quello legato al deprezzamento dello yuan sul dollaro. In altre parole, all’estero si sono liberati dalle obbligazioni cinesi quando ancora la svalutazione della moneta cinese sul biglietto verde non era conclamata.

Non può dunque stupire che, guardando ai soli fondi di private equity attivi in Cina, tra gennaio e aprile la raccolta sia scesa ai livelli minimi da 13 anni. Non è tutto. Secondo l’Istituto per gli studi politici internazionali (Ispi) tra marzo e aprile, gli investitori stranieri hanno venduto le loro azioni e obbligazioni cinesi per un controvalore di oltre 17 miliardi di dollari, un massimo storico, comparando il dato con quello dell’Istituto di Finanza Internazionale (Iif).

Un sell-off, termine tecnico per descrivere un disimpegno azionario e obbligazionario su vasta scala, che segue quasi due anni consecutivi di deflussi netti di portafoglio dalla Cina, incluso il quarto trimestre del 2021, con un deficit del conto capitale e finanziario di 320,6 miliardi di dollari. Ed è proprio l’obbligazionario che ha sofferto maggiormente: i dati del governo cinese mostrano infatti un ritiro record degli investitori stranieri pari a 5,5 miliardi di dollari di titoli di stato cinesi a febbraio, la più grande riduzione mensile mai registrata, secondo la China Central Depository and Clearing, seguiti un nuovo massimo di oltre 8 miliardi di dollari a marzo.

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Dall’inizio del 2022 fondi e investitori stranieri hanno smesso di credere nel debito cinese, liberandosi delle obbligazioni sovrane per un valore di 35 miliardi di dollari. Colpa dello yuan che ha perso terreno sul dollaro, dei rendimenti più allettanti di Treasury e titoli europei, ma non solo…

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