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Il presidente iraniano, Ebrahim Raisi, nei prossimi giorni dovrebbe essere in Oman, paese che ha sempre avuto uno ruolo di intermediazione tra Teheran e Washington. Un contatto diplomatico che segue una serie di iniziative simili passate anche dal Qatar. Il contesto è quello della definizione di un metodo per riavviare il Jcpoa, l’accordo per il congelamento nucleare iraniano interrotto dal ritiro trumpiano del 2018, su cui l’amministrazione Biden sta cercando di invertire la policy senza però aprire a eccessivi sbilanciamenti.

Parlando a condizione di anonimato, una fonte senior di Teheran ha dichiarato ad Amwaj.media che, sebbene i dettagli di quella che sarà una visita di Stato non siano ancora stati definiti, Raisi dovrebbe arrivare a Muscat “all’inizio della prossima settimana”. Il viaggio è previsto sulla scia dell’espansione dell’impegno iraniano con i suoi vicini arabi meridionali, tra cui Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Attività che si legano al quadro internazionale connesso al Jcpoa.

Il sultano dell’Oman, Haitham bin Tareq Al Said, all’inizio dell’anno ha invitato Raisi per una visita, che per Muscat serve anche a mantenere attivo il proprio ruolo di ponte mentre altri regni sunniti della regione si stanno cautamente aprendo alla Repubblica islamica sciita. Ruolo che per gli omaniti è parte della propria dimensione strategica internazionale, da sempre riconosciuto anche dagli Stati Uniti.

Nei giorni scorsi, il dipartimento di Stato statunitense ha diffuso una breve nota sulla telefonata tra il segretario Antony Blinken e il ministro degli Affari Esteri qatarino Mohammed bin Abdulrahman Al Thani. Blinken ha ribadito le sue più sentite condoglianze per la tragica uccisione della giornalista palestinese-americana e di Al Jazeera Shireen Abu Akleh, e discusso della forte e crescente partnership degli Stati Uniti con il Qatar, riconoscendo il ruolo costruttivo che Doha sta giocando “sui nostri sforzi per risolvere le questioni con l’Iran”.

Il Qatar, un alleato strategico degli Stati Uniti che ospita l’hub regionale del Pentagono, ha aggiunto il dialogo con l’Iran alla lista delle attività diplomatiche che sta portando avanti — che vanno da un ruolo attivo sulla crisi armata in Ucraina al contatto costante con i Talebani. La scorsa settimana, l’emiro Tamim bin Hamad Al Thani, era a Teheran per incontri con Raisi finalizzati a trovare spazi per raggiungere un’intesa sul rinnovamento (o rinvigorimento) del Jcpoa.

Doha e Teheran hanno rapporti molto migliori di quelli che la Repubblica islamica ha con il resto del Golfo. La ragione è estremamente pragmatica, i due Paesi condividono il più importante giacimento di gas naturale del mondo, il South Pars / North Dome, di cui due terzi sono qatarini — e rappresentano la forza con cui il Qatar sta spingendo da anni la propria economia, e ancora di più continuerà a spingerla in questa fase in cui Doha è il fornitore prescelto dagli europei che vogliono sganciarsi dalla dipendenza russa tramite il gnl, com’è il caso della Germania.

Nei giorni in cui al Thani incontrava Raisi, a Teheran c’era anche Enrique Mora, numero due dell’Eeas e coordinatore per l’Ue dei colloqui con l’Iran. Finora i colloqui con i delegati iraniani sono stati condotti grazie all’assistenza e allo sforzo diplomatico dell’Europa, che tra gli attori al tavolo — che oltre agli Usa comprende anche Russia e Cina — è stato quello più attivo. Russi e cinesi hanno relazioni con Teheran a prescindere dal Jcpoa e si stanno impegnando in modo unilaterale, anche cercando di usare quel che del dossier è utilizzabile velenosamente contro Usa e Ue.

Il coinvolgimento più attivo di Qatar e Oman; nonché i contatti di distensione in corso tra Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti; un ruolo più assertivo con Teheran e più dialogante col Golfo giocato dalla Turchia: sono questi i fattori nuovi nell’attuale fase delle lunghe trattative sul Jcpoa. Il dossier iraniano, nonostante tutte le attenzioni siano concentrate sull’Ucraina, non può essere lasciato indietro come hanno scritto sul Washington Post Carl Bildt, ex primo ministro svedese, e Javier Solana, ex segretario generale della Nato e alto rappresentante dell’UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza.

“L’Occidente non ha stipulato accordi di controllo degli armamenti con l’Unione Sovietica perché appoggiava la leadership del Paese o cercava di normalizzare le relazioni”, hanno scritto Bildt e Solana, entrambi board member dell’Ecfr: “L’abbiamo fatto perché andava a vantaggio della nostra sicurezza nazionale. Lo stesso vale per l’Iran. Biden deve considerare seriamente i costi della sua passività nei confronti dell’Iran e trovare una via d’uscita, o potremmo ritrovarci in un altro conflitto che nessuno ha chiesto”.

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