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Nella lista degli invitati al Summit per la democrazia convocato dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden per il 9 e 10 dicembre c’è Taiwan.

Ma non ci sono, invece, l’Ungheria di Victor Orbán (unico Paese dell’Unione europea a rimanere fuori), la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan, la Serbia di Aleksandar Vučić, l’Egitto di Abdel Fattah Al Sisi, la Bosnia ed Erzegovina in cui un sempre meno moderato Milorad Dodik si sta avvicinando a Mosca, l’Algeria di Kaïs Saïed, l’Arabia Saudita del principe Moḥammad bin Salman, la Giordania di Abd Allah II, il Qatar dell’emiro Tamim bin Hamad Al Thani, gli Emirati Arabi Uniti di Khalifa bin Zayed Al Nahyan, Cuba nonostante Miguel Díaz-Canel sia il primo presidente non membro della famiglia Castro dal 1976, la Bolivia di Luis Alberto Arce Catacora, il Venezuela di Nicolás Maduro, il Nicaragua di Daniel Ortega, altri Paesi sudamericani ed evidentemente la Russia di Vladimir Putin e la Cina di Xi Jinping.

Budapest ha bloccato la partecipazione dell’Unione europea. Mosca ha parlato di “evento bizzarro”. Pechino di bullismo ed egoismo. L’Avana di segnali di “debolezza”.

La maggior parte dei Paesi invitati, cioè 77, si classificano come “liberi” o pienamente democratici, secondo il rapporto 2021 di Freedom House; altri 31 come “parzialmente liberi”. Infine, tre (Angola, Iraq e Repubblica democratica del Congo) rientrano nel campo de “non liberi”, spiega Carnegie.

La regione più rappresentata è l’Europa con 39 Paesi invitati, seguita da 27 dell’emisfero occidentale. Asia-Pacifico e Africa subsahariana hanno rispettivamente 21 e 17 ospiti. Quanto al Medio Oriente, invece, soltanto Israele e Iraq sono stati invitati. Quattro i Paesi di Asia meridionale e centrale: India, Maldive, Nepal e Pakistan. In totale ci sono circa trenta Paesi da meno di un milione di abitanti.

Secondo Steven Feldstein, ricercatore del programma democrazia, conflitti e governance del Carnegie, autore del rapporto sopracitato, tre elementi hanno influito sulla scelta degli invitati. Primo: le dinamiche regionali hanno giocato un ruolo importante. Prendiamo il Medio Oriente. “Guardando strettamente ai numeri dell’indice di democrazia, gli unici due Paesi che potrebbero plausibilmente chiede di partecipare sono Israele e Tunisia”, scrive. “Sfortunatamente, la Tunisia sta vivendo un colpo di Stato al rallentatore, e l’ottica di far partecipare Israele come unico rappresentante del Medio Oriente non piaceva”. Ecco, dunque, l’Iraq.

Secondo: gli interessi strategici più ampi degli Stati Uniti. Pakistan, Filippine e Ucraina sono democrazie imperfette con problemi di corruzione e stato di diritto, ma sono partner importanti per Washington rispettivamente per la lotta al terrorismo, contrastare l’influenza cinese e per resistere all’influenza russa sull’Est Europa. Terzo: l’esclusione di Paesi come Ungheria e Turchia, scrive Feldstein, potrebbe essere stata decisa sulla base della “riluttanza di Biden a fare qualcosa per aiutare le possibilità di rielezione” di Orbán e di Erdoğan.

L’amministrazione statunitense è decisa a utilizzare il summit come primo passo di un “anno di azione”. Infatti, nel corso del 2022 verranno organizzati incontri per valutare il lavoro fatto dai Paesi singoli e dal gruppo. La domanda che incombe, secondo Feldstein, è una ed è molto semplice: il vertice potrà lanciare impegni reali di riforma e invertire 15 anni di declino democratico?

(Foto: Carnegie)

Tutti i Paesi che Biden non ha invitato al summit per la democrazia

C’è Taiwan. Ma non ci sono Ungheria, Turchia, Egitto, Cuba ed evidentemente Russia e Cina. La lista degli esclusi e le ragioni dietro le scelte della Casa Bianca secondo Feldstein (Carnegie)

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