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Nelle analisi sull’invasione Russa dell’Ucraina emerge sempre più la contrapposizione tra due idee assai differenti, quella che occorra  guardare alle responsabilità di un’Europa e un Occidente che non ha saputo tener conto per tempo dei segnali che arrivavano dalla Russia di Putin e l’idea, opposta, che bisogna lasciare all’esame della storia la valutazione di queste responsabilità, occupandoci oggi delle conseguenze drammatiche di un’invasione del tutto ingiustificata.

Questa contrapposizione è simmetrica rispetto a quella che è venuta emergendo sulle conseguenze economiche della guerra, tra chi osserva con soddisfazione gli effetti delle sanzioni adottate contro l’aggressore e chi si preoccupa degli effetti delle sanzioni sulla disponibilità di materie prime e gas nonché sul potere di acquisto delle famiglie per effetto dell’inflazione. Va detto che la tutela dei nostri interessi economici, a questo punto, non è legata tanto al rifiuto delle sanzioni quanto a quel che l’Unione europea può fare rispetto al nuovo quadro degli equilibri economici e finanziari determinati dall’invasione dell’Ucraina nonché agli squilibri preesistenti nell’economia internazionale del post globalizzazione e, in particolare, alle strozzature dell’offerta nelle materie prime e nelle catene del valore oltre a quelle sull’energia.

Non va, soprattutto, trascurato il profondo cambiamento che è intervenuto e si sta verificando a livello geopolitico ed economico nel mondo di cui occorre cercare di comprendere ed interpretare le tendenze se si vuole avere una chiave di lettura corretta di quello che sta accadendo. Diciamo spesso che il centro del mondo si è spostato in Asia e nel Pacifico ma sono trascorsi molti anni da quando si è cominciato a verificare questo fenomeno.

Si cita la Cina ma si dimentica spesso il grande successo della Comunità dei paesi del sud est asiatico (Asean), nonché degli accordi triangolari che vedono la partecipazione di India, Cina e Russia, il trattato di Shangai e lo Sgo (Cina, Russia, Kazakistan, Usbekistan…), l’Apec (Asia-Pacific economic cooperation) cui partecipano oltre Russia e Cina anche Usa, Canada e Australia. Né vanno dimenticate le Banche di sviluppo, come quella per la Via della seta, creata dai cinesi.

Il mondo è cambiato. La scelta di Putin di invadere l’Ucraina avviene a valle di un forte avvicinamento tra Russia e Cina, a sua volta legato allo straordinario aumento dell’importanza geopolitica ed economica del polo asiatico. In questo quadro, deve esser chiaro che per la Ue la priorità è quella della riaffermazione del proprio ruolo oltre che dei propri valori per i quali si deve muovere a favore dell’Ucraina, innanzitutto guidando le trattative per fermare la guerra e lo sterminio di civili.

Il recupero del ruolo geopolitico che le compete deve poi allargarsi sul piano interno rispetto al quale l’Europa deve guardare all’impatto negativo delle sanzioni perseguendo il coordinamento della sua politica energetica e fronteggiando la spinta recessiva che la guerra ha innescato. Non si tratta, questa volta, di una questione legata al ciclo economico ma ad un cambiamento di lungo termine dei rapporti finanziari e commerciali tra le principali aree del mondo. In questo contesto occorre sia chiaro che se è vero che la riduzione della dipendenza dalla Russia per il gas non è facile da realizzare, essa va condotta, nell’interesse dell’Unione, in un’ottica di coordinamento, senza rinunciare al green deal, i cui valori sono diventati, tra l’altro, un aspetto caratterizzante della EU a livello internazionale.

È per questo che solo temporaneamente si può ricorrere alla riattivazione della produzione di energia da fossili. Va posto in essere un piano credibile e condiviso che abbia tempi e modalità precise in cui il ruolo principale sia attribuito a rinnovabili, efficienza energetica, diversificazione degli approvvigionamenti, scorte condivise, sostegno alla produzione di Lng, estrazione delle risorse di gas. Allo stesso tempo va concordata una politica di sostegni alle imprese e alle famiglie che sia capace di ridurre oneri e sacrifici e fronteggi i rischi di recessione.

Preoccupa, in questo contesto, l’atteggiamento piuttosto confuso della Bce che nei giorni scorsi ha fatto prevalere l’esigenza del contrasto all’inflazione rispetto al problema, assai maggiore, delle tendenze recessive in atto. È importante che in Europa prevalga l’idea che dopo la pandemia siamo di fronte ad una nuova difficile prova in cui si dovrà confermare la capacità dell’Unione di unirsi in uno sforzo comune per combattere uno shock tutt’altro che temporaneo.

Esso va contrastato con risorse europee destinate a politiche d’investimento di tipo strutturale a cominciare da quelle legate al coordinamento energetico e a politiche di sostegno ai settori più dinamici come è il caso del Chips Act piuttosto che con aumenti di spesa. Solo cosi’ si risponde realmente alla sfida asiatica. E va tenuto presente che il rischio di recessione e quello, peggiore, di stagflazione è reale e che le conseguenze economiche da fronteggiare non sono solo quelle immediate degli effetti delle sanzioni ma, piuttosto, quelle di un generale squilibrio macroeconomico legato ad un ridisegno degli scambi e degli equilibri economici internazionali.

Occorre averne piena consapevolezza insieme alla convinzione che e’soltanto l’Ue il soggetto che può provvedere a prendere, nell’interesse generale, le misure necessarie, come ha già fatto nella pandemia con NextGenEu, anche perché siamo di fronte ad una sfida di lunga durata e altrettanto importante di quella legata alle conseguenze del Covid.

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Il rischio di stagflazione è reale e l’atteggiamento confuso della Bce non aiuta. Dobbiamo renderci conto che dopo la pandemia siamo di fronte a una nuova difficile prova in cui si dovrà confermare la capacità dell’Unione di unirsi in uno sforzo comune per combattere uno shock tutt’altro che temporaneo. Su Formiche.net inizia la discussione sul ripensamento dell’intero sistema macroeconomico globale

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