All’inizio degli anni 2000 in Russia le cose sono migliorate un po’. Rispetto agli anni ’90 le donne si sono ritagliate un ruolo più centrale nella politica russa, soprattutto in posizioni tecnocratiche nella Banca centrale, nel settore finanziario e negli istituti di ricerca. Donne della mia generazione, che avevano alle spalle studi economici avanzati in Occidente o in nuove istituzioni economiche post-sovietiche. Molte le conoscevo personalmente, come Ksenia Yudaeva, la prima vice-governatrice della Banca di Russia, che ha ottenuto il suo dottorato all’MIT. Ci siamo conosciuti quando ero al liceo, all’epoca era una ricercatrice del Carnegie Endowment, la porta accanto alla Brookings. Nonostante il loro rilievo, però, quelle di Ksenia e delle sue colleghe alla Banca centrale, erano ancora essenzialmente “professioni da donne” per la tradizione russa. Si prendevano cura della “casa nazionale”, delle sue risorse e del suo bilancio, attente a tenere chiusa la cerniera del portafoglio qualora gli uomini si lasciassero andare a una sconsiderata frenesia di spesa e mandassero in fumo la ripresa economica che era costata tanta fatica alla Russia fin dal suo collasso negli anni ’90. La stampa allora era piena di storie sul capo di Ksenia, la direttrice della Banca centrale, Elvira Nabiullina, nota per la capacità di tenere il punto contro ministri e importanti imprenditori quando cercavano di spingere la banca a prestare più denaro o a venire in soccorso di settori industriali chiave durante i periodi di depressione.
Oltre al settore finanziario, vi erano donne in primo piano nei media russi e nei dipartimenti per la stampa del governo, inclusa Maria Zakharova, la portavoce del ministero degli Esteri, insieme a diverse altre portavoci di ufficiali al Cremlino. Una delle mie coetanee, Svetlana Mironyuk, è stata per tanti anni a capo di Ria Novosti, la più grande agenzia stampa internazionale russa, fino alla sua abolizione nel 2013. Ebbi decine di incontri ravvicinati con queste donne a Mosca e una posizione privilegiata per farmi un’idea di come venissero considerate e trattate. Come me, erano apprezzate per le loro competenze tecniche e la capacità di interagire con interlocutori internazionali, ma al tempo stesso erano “lo staff” e non facevano parte del “club dei ragazzi”.
In un paio di occasioni, durante le riunioni del forum per gli affari internazionali del premier russo, il Valdai Discussion Club, sono stata seduta accanto a Vladimir Putin – anche ai tempi in cui ero l’ufficiale dell’intelligence americana al National Intelligence Council. A partire dal settembre del 2004 le riunioni del Valdai rientravano in uno sforzo aperto del Cremlino di influenzare l’opinione degli accademici e dei commentatori occidentali sulla Russia di Putin. L’ufficio stampa del Cremlino lavorava a stretto contatto con gli organizzatori per dare la linea agli incontri e assicurarsi che alcuni messaggi fossero trasmessi dai partecipanti russi ai loro colleghi occidentali. Speravano che chi di noi veniva lì per mangiare, bere e avere accesso a figure di primo piano della politica russa si sentisse obbligato (se non mosso spontaneamente) a scrivere articoli positivi sugli sviluppi in Russia. Durante un incontro del 2007, Putin stesso ha auspicato che i partecipanti occidentali diffondessero le informazioni e le opinioni emerse per “combattere i forti stereotipi [sulla Russia] che esistono in Occidente”.
La copertina del libro
La mia esperienza in quegli incontri ha messo in luce l’atteggiamento prevalente verso tutte le donne in Russia, anche le più importanti, quelle nei ranghi più alti. L’ultima volta che mi sono ritrovata seduta accanto a Putin era il novembre del 2011, quando ero tornata a Brookings come direttrice del Centro per gli Stati Uniti e l’Europa. Ovviamente ho cercato di valorizzare al massimo l’opportunità di osservare Putin da vicino. Ho preso nota di ogni aspetto del contesto e della situazione per poi analizzarli e scriverli dopo – cosa indossava, come si atteggiava, cosa mangiava e beveva, cosa c’era sui suoi appunti, quali messaggi volevano ci portassimo dietro, e perché.
Grazie al mio posto proprio accanto al suo sono riuscita a notare, ad esempio, che come tutti noi il presidente Putin soffriva di alcuni disturbi minori dovuti all’età anziana, come la presbiopia. Non indossava mai gli occhiali da vista – un segno di debolezza. Ero talmente vicina a lui da poter notare che non indossava nemmeno lenti a contatto, ma il font estremamente grande dei suoi appunti era un indizio chiaro. Tutto questo è tornato utile per il libro che ho scritto in seguito su Putin, nel 2013, e ovviamente mi sono chiesta per quali motivo fossi seduta accanto a lui, in una posizione che normalmente sarebbe parsa importante. Era, riflettevo, un tentativo del Cremlino di fare uno statement politico, o di scendere in qualche modo a compromessi con me perché ero – o ero stata – l’ufficiale dell’intelligence americana che si occupava di Russia? O forse le forze di sicurezza russe mi avevano profilato e avevano deciso che sarei stata la persona meno propensa ad attaccare Putin con una forchetta o un coltello durante la cena? Mi è venuto in mente di tutto. Naturalmente, poi ho scoperto che nulla di questo era vero.
Ero una delle poche donne del gruppo, ma i russi non mi vedevano come la versione in carne e ossa della celebre attrice inglese Judy Dench mentre recita la parte di M, la prima donna a capo delle spie in un film di James Bond. No, ero stata selezionata per qualcosa di molto più banale. Chi fossi io, professionalmente, era irrilevante. Ero un mero oggetto di scena del “grande uomo”. Una donna né troppo brutta, né troppo attraente, né troppo giovane o troppo vecchia. Avevo l’elusivo fattore “Riccioli d’Oro”. Nessuno, tranne le pochissime persone nei circoli di politica estera russa che potevano conoscermi, mi avrebbe dato alcuna attenzione. Tutti gli occhi sarebbero stati su di lui. Svetlana Mironyuk della RIA Novosti era seduta accanto a Putin, dall’altro lato. Mi ha illuminato lei sulla vicenda, strappando via le mie fantasie. Se un uomo della delegazione straniera si fosse seduto al mio posto, il pubblico in Tv si sarebbe chiesto chi fosse. O ancora, se fossi stata una donna stupenda o affascinante, con una profonda scollatura, o “troppo vecchia e troppo vestita”, mi fece notare Svetlana, avrei attirato attenzioni indesiderate. Dunque ero lì: una donna senza descrizione, come un’innocua composizione floreale o una piantina in vaso, una stoviglia che incorniciava il signor Putin. Niente da vedere.
Pubblichiamo un estratto dal libro “There is nothing for you here” (Mariner Books) di Fiona Hill, Senior Fellow Brookings, già consigliera alla Casa Bianca con Bush, Obama e Trump. Il libro sarà presentato questo giovedì alle 16.30 in diretta sulla pagina Facebook di Formiche insieme a Marta Dassù, direttrice Aspenia
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