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“Perché arrivano le ondate? Non lo sappiamo. Ma ora sappiamo come iniziano e come fermare gli effetti più negativi. L’Italia può bloccare questo quarto ‘risveglio’ del virus, ma dovrà sbrigarsi con i booster, i richiami, che vengono comunemente chiamati la terza dose”. A parlare, in un italiano perfetto, è Arnon Shahar, uno degli scienziati più calmi, chiari e convincenti che abbia mai ascoltato dall’inizio della pandemia. Guida la task force anti-Covid del Maccabi Health Services in Israele, il secondo più grande istituto sanitario del paese, si è laureato in medicina all’Università di Bologna ed è una delle persone che più ha aiutato il nostro Paese, con cui ha un legame speciale, ad affrontare l’emergenza sanitaria.

Da un anno e mezzo Shahar tiene incontri virtuali ogni due settimane con il nostro ministero della Salute. Ha aiutato Alessio D’Amato, assessore alla Sanità del Lazio, a mettere in piedi una delle migliori campagne vaccinali d’Europa. “Noi avevamo qualche settimana di vantaggio, e Alessio mi chiedeva quali erano le scelte pratiche più efficaci da mettere in campo”.

Gli israeliani sono stati primi in molte delle scelte cruciali durante questa pandemia, sin da quando Netanyahu impose durissime restrizioni a marzo 2020, impedendo che la prima ondata fosse violenta come altrove. Boaz Bismuth, direttore del quotidiano Israel Hayom, racconta che già ai primi di febbraio 2020 il premier riservatamente stava predisponendo misure per contrastare il nuovo coronavirus: “Vedrai, tra qualche settimana non si parlerà d’altro”.

Tra i primi a chiudere un accordo con Pfizer/Biontech per la fornitura dei vaccini – mentre l’Europa traccheggiava con dieci diversi produttori, per poi cambiare rotta più volte – in Israele la profilassi è iniziata presto e ha permesso, insieme a un secondo e durissimo lockdown, di riaprire il paese nella primavera 2021, abbandonando le restrizioni e tornando a una normalità quasi totale.

Eppure, tra giugno e luglio, i casi tra i vaccinati con due dosi hanno iniziato a crescere. Era l’ormai noto waning, la riduzione progressiva di copertura contro il virus. Allora le autorità sanitarie, senza avere dei chiari precedenti ma fidandosi delle task force scientifiche, hanno disposto il richiamo: prima agli over-60 e ai sanitari (sono arrivati in poco tempo al 90% di terze dosi), poi a tutti gli altri.

“In tre settimane abbiamo visto gli effetti clamorosi di questa scelta – racconta Shahar. Il booster garantisce una protezione persino più forte rispetto alle due dosi, e crediamo che possa essere anche più duratura, sebbene ancora non ci siano sufficienti studi clinici”. Da medico, la cosa che lo inorgoglisce di più è che “in due mesi abbiamo salvato tremila persone, anche sane e senza complicazioni particolari, dalla morte”.

L’Italia è in una situazione simile. Ora che molti hanno ricevuto la seconda dose tra i 4 e i 9 mesi fa, si assiste a un aumento dei casi, anche se grazie ai vaccini il numero di decessi e ospedalizzati non è paragonabile allo stesso periodo dello scorso anno. La campagna dei richiami è iniziata, ma più lentamente rispetto a Israele. “Siamo arrivati in poco tempo a tre milioni di richiami e poi, con più difficoltà, a quattro milioni”, spiega Shahar. “Non credere che da noi manchino gli scettici o gli indecisi. La terza dose è più difficile da spiegare a chi pensa di aver già fatto il proprio dovere”.

Qui è il punto più complicato: il parametro per determinare il waning dei vaccini, infatti, non è certo il test sierologico che alcuni fanno per capire quanti anticorpi hanno ancora in circolo. “Si tratta di un dato che non ci dice quanto uno sia protetto, perché gli anticorpi si possono sempre ‘risvegliare’ in caso di infezione e garantire una difesa efficace, anche se dal test sierologico sembrano essere pochi. La risposta non è nel nostro sangue, ma nell’epidemiologia. Quando aumentano i contagi in una determinata popolazione, quello è il segnale di una minore copertura, e della necessità del richiamo. Ma se non si agisce subito, si rischia di lasciar correre il virus e fare più danni del dovuto. Bisogna prevenire l’impennata dei casi”.

Invece di perderci tra inutili sierologici e conti impossibili (“dura 6 mesi”, “no, 9”, “facciamo 12 e non se ne parla più”) noi italiani abbiamo l’esempio chiaro di Israele: massima efficacia, migliaia di vite salvate, trascurabili effetti avversi.

“Possiamo parlare di miocarditi, di controindicazioni, possiamo parlare di quello che volete. Sono stati i nostri ricercatori a segnalare qualche sporadico caso avverso, figuriamoci se neghiamo la realtà scientifica. La scorsa settimana abbiamo ospitato un forum virtuale nazionale, al quale hanno partecipato migliaia di persone, no-vax compresi, che per oltre sei ore hanno potuto fare domande a 50 specialisti. L’unica cosa che conta sono i fatti. E ci dicono che il richiamo è la strada maestra per uscire dalla pandemia”.

Gancio perfetto per l’ultima domanda: quando? “Se devo fare un pronostico, e dipende ovviamente da vari fattori globali fuori dal nostro controllo, dico la seconda metà del 2022. Abbiamo i vaccini, i richiami, e la possibilità di aggiustare la formula ogni anno in base alle varianti. Nel frattempo sono arrivati gli anticorpi monoclonali che funzionano molto bene, e da ultimi gli antivirali di Merck-Msd e Pfizer. Con questo arsenale, presto potremo considerare il Covid un virus endemico, e metterci alle spalle l’emergenza. Tornerà tutto come prima? No. Alcuni accorgimenti sanitari li porteremo con noi, e sarà un bene”.

Sbrighiamoci con il richiamo, e usciremo dalla pandemia. Incontro con Shahar

Il capo della task force anti-Covid del Maccabi Health Services in Israele da un anno e mezzo aiuta i sanitari italiani a combattere il virus. “Il booster è fondamentale per fermare la quarta ondata. I dati sono chiari, da noi abbiamo salvato tremila vite in due mesi. La fine dalla pandemia? Nella seconda metà del 2022, ma solo se…”

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