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Steward Brand, scrittore statunitense che in un suo recente libro Baricco inscrive all’interno dei personaggi più influenti della rivoluzione digitale, oltre ad essere divenuto famoso per il suo Whole Earth Catalog, è stato anche reso celebre da una sua affermazione che, con il senno di poi, si è rivelata sicuramente anticipatoria.

Come riporta l’autore di The Game, lo scrittore infatti sosteneva che: “Molte persone provano a cambiare la natura degli umani, ma è davvero una perdita di tempo. Non puoi cambiare la natura degli umani, quello che puoi fare è cambiare gli strumenti che usano, cambiare le tecniche. Allora cambierai la civiltà”.

Che sia l’intuizione di un uomo che frequentava quelli che allora erano “i laboratori del futuro”, o che sia invece un’affermazione fortunata, non importa. Quello che conta è che tutta la nostra storia recente ruota più o meno attorno a questo tentativo.

Allora vale la pena chiedersi se valga la pena, ad esempio, provare a cambiare il nostro attuale sistema culturale non tanto attraverso riflessioni di scenario, o sostituendo correnti politiche, ministri (o addirittura nome del dicastero), ma provando in modo più umile, artigiano, pragmatico, a ragionare su quali strumenti possa essere utile sostituire, o quantomeno fare evolvere.

È notizia recente che il Ministero della Cultura ha approvato un aggiornamento del Programma Triennale dei Lavori Pubblici 2021 – 2023, incrementandone il valore a 228 milioni di euro. Una cifra che, sebbene inferiore ad altri cicli programmatici passati, rappresenta in ogni caso un investimento considerevole.

Tale cifra assume ancor più valore se si tiene conto che la cultura, nonostante molti “economisti” e molti “esperti” tendano a preferirla come un “bene immateriale”, nella gestione concreta di un Ministero è tutt’altro che un elemento etereo. Il nostro Patrimonio è infatti fatto in primo luogo di materia: dagli anfiteatri alle statue, dai dipinti ai centri storici, chiese, cattedrali, oggetti d’uso comune utilizzati nell’antichità. Sono tutte espressioni “materiali”. E come tali, richiedono “manutenzione”.

Ed ecco che, in quest’ottica, la programmazione triennale dei lavori pubblici, per la cultura, ha tutta l’aria di essere quello strumento strategico, programmatico, concreto e misurabile delle attività che il nostro Paese metterà in campo per promuovere la nostra cultura, sostenendo attività di restauro, conservazione e valorizzazione, e definendone quindi gli obiettivi e le ambizioni.

Basta un’occhiata allo strumento per capire che, tuttavia, non c’è nulla di più lontano dalla realtà.

Come visibile dall’immagine, il Programma Triennale dei Lavori Pubblici del Ministero della Cultura non è altro che una lista della spesa. Un documento di natura amministrativo-contabile che non assume nessuna valenza “programmatica”, se non quella di spesa. Nessuna introduzione a nome del Ministro. Nessuna relazione a definirne gli obiettivi. Nessun “quadro illustrativo” che permetta di intuire che, dietro quelle ragionieristiche informazioni, ci sia una visione di più ampio respiro.

Nessun link ai progetti. Nessun criterio di valutazione delle performance. Solo un file in .pdf, che, in pratica, è rimasto avulso dalla grande rivoluzione dell’ipertesto e che è a tutti gli effetti, una versione digitale di un vecchio registro.

Uno strumento che, a ben vedere, è utile soltanto a comprendere quanto si spenda e dove. Il cosa è descritto in poche righe, spesso reiterate e convenzionali: restauro e valorizzazione del sito X, Intervento di pulizia, restauro e valorizzazione del sito Y.

Eppure, potrebbe essere davvero uno dei documenti programmatici più importanti per il mondo culturale. Potrebbe essere l’interfaccia di un sistema di governo. E invece ci accontentiamo che assolva, per di più in modo incompleto, ad una mera funzione contabile.

Quanto indicato dal documento, quanto rappresentato da questo documento, non è altro che il prezzo che verrà sostenuto per determinati interventi. E ciò, in barba alla tanto decantata rivoluzione della funzione amministrativa, oggi non più chiamata a spendere tanto, ma a spendere bene.  In fondo, il lavoro che richiederebbe un’evoluzione di questo documento, dal punto di vista tecnico, sarebbe estremamente semplice: basterebbe inserire un link, nel documento, proprio come questo.

Nient’altro.

Basta liste della spesa, programmiamo il futuro della cultura italiana

Il Programma Triennale dei Lavori Pubblici del ministero della Cultura non è altro che una lista della spesa. Niente link, descrizioni, sviluppo, un documento di natura amministrativo-contabile senza valenza “programmatica”. Eppure potrebbe essere davvero uno dei documenti più importanti per il mondo culturale, scrive Stefano Monti, partner di Monti & Taft

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