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Gianfranco Rotondi non è di centro, è un democristiano. La differenza tra le due categorie è forte ed emerge quando si parla del polo riformista, il progetto tanto discusso degli ultimi giorni che non seduce l’ex ministro, da tempo impegnato a radunare la diaspora scudocrociata tra rifondazioni e nuove sintesi (ultima in ordine di tempo, l’associazione “Verde è popolare”). Rotondi ha fatto dell’eredità democristiana la sua cifra stilistica, un’eredità pesante che è da sempre motivo di orgoglio per lui e ogni giorno muove la sua azione politica, molto meno passatista di quanto possa sembrare a primo acchito.

La Dc non è la sola testimonianza pesante di un lungo percorso parlamentare: Gianfranco Rotondi è l’ultimo berlusconiano e ancora oggi siede nel gruppo del partito del presidente, che non ha lasciato nell’estate del 2011 e per il quale ancora oggi siede in Parlamento, seppur in un centrodestra diametralmente opposto da quello del ’94. Per comprendere le strade aperte dal voto di questa settimana, i limiti del centrodestra tra comunali e baroni neri e la capacità di attrarre l’elettorato giovanile fuori dai grossi schieramenti, non c’è voce migliore di una democristiana.

Dopo queste elezioni si può ancora parlare di centrodestra? Quali sono secondo lei gli sbagli più evidenti commessi dalla coalizione?

Sono un socio storico del centrodestra berlusconiano, forse l’ultimo rimasto in circolazione. Ma in questo centrodestra fatico a riconoscermi: è una cooperativa elettorale, anche rissosa. Niente di più. Manca un progetto, un’idea forte, si mescolano suggestioni contraddittorie. E la gara sulla leadership non aiuta.

Chi è secondo lei la figura più interessante emersa da queste consultazioni?

A destra nessuno. La novità è Sala, perché è il sindaco di Milano e da quel posto si possono fare cose pazzesche al secondo mandato. Milano è la sola città europea di questo Paese. Ha in serbo realizzazioni e investimenti che allungheranno la distanza col resto del Paese. E la scelta razionalmente ambientalista di Sala è la prenotazione di una leadership.

Lei ha più volte espresso attestati di stima per Giorgia Meloni, perché secondo lei (anche alla luce del caso Fidanza) fatica a stroncare il discorso fascismo se non appaltandolo al congresso di Fiuggi?

Fatica perché per età non è dentro il problema: è nata nel 1977, quando il tema non era più la nostalgia del fascismo ma la sua storicizzazione dovuta principalmente a Renzo De Felice. Accusare la Meloni di fascismo è come imputare a me Gladio o il golpe Sogno.

Passiamo dal centrodestra all’area che lei oggi rappresenta. Dopo i risultati di queste comunali, vede prospettive per uno schieramento di centro in Italia?

Ma io non ho mai creduto nel centro, nemmeno quando c’era la Dc. La Dc era il partito italiano, espressione di cattolici e laici, partite Iva e salariati, Nord e Sud. Sogno un partito così, e penso che i cattolici dovrebbero stimolarne la formazione.

Una formazione del genere può ambire alla corsa solitaria o ha ancora bisogno delle due grandi coalizioni?

Il partito italiano che le ho appena descritto può vincere e governare da solo, o con alleati compatibili.

Con una forte polarizzazione come quella italiana, un progetto che guarda al centro che attrattiva può avere su un elettorato consistente? Specialmente, per quanto riguarda i giovani.

Ripeto: mi interessa un progetto di partito nazionale di ispirazione cristiana, lascerei ai politologi le geometrie centriste. Il tema di oggi e di domani è la transizione ecologica: se ce lo intestiamo, saremo i primi a farlo, e vedrà se ciò non attrarrà il voto giovanile.

Figure come quella di Carlo Calenda, anche alla luce del suo 20% a Roma e la forte presenza mediatica, possono federare attorno a sé un’ipotetica formazione di centro o non sono del tutto “terze”?

Calenda è una figura consolare dentro il caleidoscopio della sinistra italiana. Ha sicuramente un avvenire, ma non so se vorrà condividerlo con una squadra.

A Roma ha appoggiato Michetti mentre a Milano Sala, per i centristi è preferibile un’azione di influenza trasversale (su modello radicali) o ha ancora validità la forma partitica?

Non mi dispiace il modello radicale, anche perché questo Papa è un po’ radicale. E Pannella è un esempio di come si possa influenzare la politica anche partendo da numeri marginali.

Lei ha fondato l’associazione “Verde è popolare”, richiamandosi già nel nome alle due famiglie politiche che riscuotono successo nel Nord/Centro Europa. Questa formula secondo lei è proponibile nel contesto italiano? Se sì quali sono le dovute differenze?

In Italia non abbiamo verdi di massa perché l’ambientalismo è stato percepito come una declinazione della sinistra. Ma il governo Draghi impone il tema dentro un’agenda di sviluppo, investimento, occupazione. Su questa scia la politica può raccogliere il testimone del governo tecnico. È la nostra scommessa.

Alla luce delle ultime evoluzioni politiche, nel futuro prossimo crede che si andrà sempre di più verso la semplificazione (blocco di centrosinistra e blocco di centrodestra su modello anglosassone) o le correnti politiche hanno ancora vita lunga?

Una legge elettorale proporzionale favorirebbe la riaffermazione delle culture politiche, come in Germania. Una legge maggioritaria accentuerebbe la confusione, ma almeno determinerebbe un risultato. Questa legge elettorale ha tutti i difetti del maggioritario, senza il solo pregio, la governabilità. Va cambiata, e presto.

Centro e transizione ecologica. Così Rotondi vuole attrarre il voto dei giovani

“Non ho mai creduto nel centro, nemmeno quando c’era la Dc. La Dc era il partito italiano, espressione di cattolici e laici, partite Iva e salariati, Nord e Sud. Sogno un partito così, e penso che i cattolici dovrebbero stimolarne la formazione”. Conversazione con Gianfranco Rotondi, già ministro e deputato di Forza Italia, fondatore del nuovo movimento politico Verde è popolare

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