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Ipotesi, previsioni, azzardi. È impossibile penetrare fra le mura che fino a giovedì ospiteranno il Plenum del Comitato centrale comunista, l’organo di 370 dirigenti del Partito comunista cinese convocato da Xi Jinping per “riscrivere” la storia del Partito-Stato a cento anni dalla sua fondazione.

Dopotutto quelle porte serrate a Pechino sono una degna metafora della nuova fase in cui Xi ha traghettato il Paese uscito dalla pandemia. A Washington l’intelligence l’ha ribattezzata, non senza una certa preoccupazione, “sindrome Bunker”: la Cina ripiega su se stessa, comunica poco con l’esterno, prepara un “nuovo” futuro. Prima, però, deve rivedere il passato.

Cinque anni fa, l’ultimo plenum ha incoronato Xi come “il leader al cuore del partito”. Poi, nel 2017, la codificazione del “Pensiero di Xi Jinping” nella carta del partito, onore riservato solo a Mao. Ora l’ultimo, definitivo passaggio: la consacrazione del presidente-segretario a “padre nobile” della Repubblica popolare, e la rielezione ormai scontata alla guida del partito per altri cinque anni.

“La sesta sessione plenaria dei Comitato Centrale del Partito è sempre dedicata a temi ideologici che servono di indirizzo alla nuova dirigenza, quella che verrà nominata il prossimo autunno dal XX Congresso, in questo caso si tratta della 6a riunione plenaria del Comitato Centrale insediatosi nel XIX Congresso del Partito tenutosi nel 2017”, spiega a Formiche.net Enrico Fardella, professore di Storia delle Relazioni internazionali all’Università di Pechino. “In queste riunioni plenarie non si decide nulla ma, secondo il principio del cosiddetto ‘centralismo democratico’, si approvano le decisioni prese dalla leadership in seguito a lunghe consultazioni avvenute all’interno dell’apparato”.

E la leadership ha deciso: la Repubblica popolare dovrà arrivare a festeggiare i suoi cento anni, nel 2049, nella veste di Paese “socialista, grande, prospero, nuovo, armonioso, bello”, si legge nella biografia (o meglio, agiografia) dedicata a Xi da Xinhua, l’agenzia ufficiale del governo cinese.

Difficile decifrare i veri propositi del regime dietro la coltre di propaganda. “I temi che stiamo vedendo oggi infatti erano già contenuti sia nel rapporto di Xi Jinping al XIX Congresso del 2017 che nella più recente proposta di risoluzione approvata dall’Ufficio Politico a metà ottobre, proposta oggi approvata dai 400 delegati del Comitato Centrale, tra membri permanenti e non, che si sono recati per l’occasione a Pechino.”, dice Fardella. “Si tratta di porre l’enfasi sul tema della ‘continuità nella storia del Partito, che da poco ha celebrato i suoi 100 anni di vita, per superare la ‘cesura’ narrativa tra epoca maoista e denghista, funzionale a esaltare l’apertura della Cina al libero mercato e a sanzionarne le derive autarchiche delle origini, e consolidare la matrice genetica del Partito”.

Di quella narrativa Xi è il naturale e “glorioso” epilogo, gridano in coro questi giorni gli organi del partito. Se Mao è il fondatore e Deng il traghettatore, Xi è il condottiero di una potenza che non nasconde più le sue ambizioni, né accetta ostacoli sul percorso. “In questa visione che coniuga continuità ed evoluzione, Xi Jinping è l’ “Uomo della Provvidenza”, l’uomo giusto al momento giusto. Il suo ‘pensiero’ – l’unico degno di essere accostato nella Costituzione del Partito a quello di Mao – diventa il faro che consente al Partito e al popolo cinese di compattarsi e realizzare il ‘rinnovamento della nazione cinese”.

Mao, spiega il professore, “aveva permesso alla Cina di risollevarsi dallo stato di ‘umiliazione’ e di ‘servitù’ psicologica nel quale era piombata a causa delle interferenze dell’imperialismo straniero, Deng le aveva consentito di arricchirsi grazie alle sue riforme economiche”. A Xi il compito di farne una nazione “forte e prospera”. E di portare a termine il piano, costi quel che costi.

“Questo ‘Sogno Cinese’, come dice la stessa risoluzione dell’Ufficio Politico, è visto come un processo storico ‘irreversibile’. In questa prospettiva la politica di contenimento americana è percepita come un’interferenza anacronistica ad un percorso naturale. La riunificazione di Taiwan alla “madrepatria” rientra in questa escatologia: non è una questione di ‘se’ ma di ‘quando’, e il quando può saperlo solo Xi, l’ “Uomo della Provvidenza”.

Gli ostacoli però ci sono, eccome. A una pressione crescente degli Stati Uniti di Joe Biden, sempre più proiettati nel quadrante Indo-Pacifico, si sommano i guai interni. Una crescita anemica, un mercato finanziario in dissesto. E ancora, una soppressione feroce delle élites capitalistiche che osano sfidare le direzioni del partito, e una sindrome post-pandemia che ha chiuso il Paese al resto del mondo, il “bunker”, appunto.

Quanto all’effettivo consenso di Xi fra gli alti papaveri del partito, impossibile fare stime esatte. Certo la plenaria di questi giorni traccia un percorso che porta dritto al Congresso del prossimo anno. E dal passaggio alla nuova fase usciranno vinti e vincitori. “Al di là di quanto ci dice la propaganda, non è chiaro quale sia il consenso interno al Partito su questi elementi – dice Fardella – facile tradurre un segnale di dissenso nel sintomo di un malessere più ampio e allo stesso tempo sarebbe difficile immaginare che un sistema così complesso e articolato non coltivi sacche di resistenza nei confronti delle trasformazioni in atto”. La verità, allora, è una sola: che “cosa succeda in Cina, oggi, sono davvero pochi a saperlo”.

Nel bunker di Xi. Fardella spiega i piani di Pechino

Se vuoi scrivere il futuro, riscrivi la storia. La plenaria del Partito comunista cinese consacra il presidente Xi Jinping a padre della patria. Per la Cina la crescita, spiega il professor Enrico Fardella (Peking University), è l’unica strada. Ma a turbare i sogni del leader ci sono nuovi incubi

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