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Il ballottaggio per il sindaco di Roma ci obbliga a guardare in alto. Durante la campagna elettorale è risuonato da più parti l’appello a un vero rilancio della capitale. Ora, Michetti e Gualtieri sono chiamati a “dettare la linea”, sapendo che la pubblica opinione non è indifferente alla qualità dei programmi. In fondo l’astensionismo, cresciuto stavolta oltre misura, attesta il disamore per la vaporosa genericità dei messaggi politici. Non si tratta di fare promesse, ma di organizzare uno sforzo di mobilitazione delle molte risorse, intellettuali e materiali, a disposizione di una città che resta in debito di speranza per il proprio futuro.

Il confronto, a differenza del passato, non potrà limitarsi alle reciproche contestazioni. Ci si attende qualcosa di più, qualcosa che scuota e indirizzi la volontà di fare, secondo un disegno non effimero. Sono sicuro che Gualtieri ne sia pienamente consapevole. Per questo, anzitutto, va offerta una motivazione credibile alla base popolare del centro-sinistra, perché non subentri in questi giorni, a fronte di una povertà di linguaggio e di contenuto, un deplorevole rilassamento in vista del ritorno alle urne. Come pure, a integrazione di tale impegno, serve un discorso di grande apertura al mondo che non si riconosce nella tradizionale proposta dei riformisti. Parlare a se stessi, ovvero alla propria gente, non è la misura che basta a configurare le coordinate di un successo auspicabile.

Calenda ha fatto bene a invocare chiarezza sugli indirizzi di governo locale, a maggior ragione il suo endorsement a favore di Gualtieri risulta particolarmente gradito. Avremo modo comunque di discutere seriamente sulle prospettive del centro-sinistra, dando per certo che il nodo delle alleanze va sciolto. Tuttavia, la battaglia per il Campidoglio non deve sovraccaricarsi di temi strettamente politici, altrimenti verrebbe a confutarsi lo stesso modello, pragmatico e moderno, che proprio Calenda ha saputo adottare in questa vicenda elettorale.

Nell’astensionismo possiamo anche rinvenire l’acuirsi della sensibilità per il disallineamento tra il “fenomeno Draghi” e la politica sui territori, nel vivo dell’esperienza comunitaria. Infatti, mentre da un lato si manifesta al vertice delle istituzioni un criterio direttivo a sfondo unitario, con un afflato solidaristico che deriva anzitutto dalla gravità dei problemi, nel perimetro del municipalismo si dispiega la continuità di una prassi a dir poco contraddittoria con questo bisogno di sana e vitale cooperazione. Si tratta di capire perciò se il contributo dei cattolici – tenuto conto del pluralismo – non possa risultare prezioso nel raccordare istanze di pragmatismo e generosità, offrendo una sponda seria alla umanizzazione dei processi di cambiamento e sviluppo. È finito il tempo per cui l’assessorato ai servizi sociali era la casella da riempire con l’individuazione di qualche personalità di area cattolica.

Penso che Gualtieri abbia tutti i requisiti per fare di Roma la capitale di una nuova stagione di progresso e rinnovamento. A lui spetta di aprire un dialogo con la Roma più ritratta nella diffidenza e nel silenzio. Deve essere il garante dell’inclusione e dell’equilibrio, senza perdere di vista la sfida dell’innovazione (per la quale una dose di coraggio s’impone). A nulla vale giocare sui gesti estemporanei della vigilia, quando invece nell’opinione corrente prevale l’attesa di “cose nuove”, sia per la qualità del progetto amministrativo che per la serietà della classe dirigente chiamata a realizzarne i contenuti. Il centro-sinistra, con Gualtieri, può vincere la partita se mostra ai romani la volontà di andare oltre se stesso.

Calenda spinge ma Gualtieri deve spingere di suo. I consigli di Fioroni

Gualtieri ha tutti i requisiti per fare di Roma la capitale di una nuova stagione di progresso e rinnovamento. A lui spetta di aprire un dialogo con la Roma più ritratta nella diffidenza e nel silenzio. Il commento di Giuseppe Fioroni

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