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Tra il 30 giugno e il 3 luglio, il generale quattro stelle Michael Erik Kurilla, capo del Comando Centrale degli Stati Uniti (CentCom), ha effettuato un tour diplomatico-militare in Medio Oriente e Mediterraneo orientale. Una missione che, dietro la consueta retorica tecnica di alleanza e interoperabilità, mira a fare il punto dopo l’escalation tra Iran e Israele dello scorso aprile e a valutare, sul terreno, la tenuta e le esigenze dei partner regionali, in un momento di tensione prolungata.

Un’agenda fitta tra Arabia Saudita, Qatar, Giordania, Israele e Grecia

Il viaggio ha toccato cinque Paesi chiave: Arabia Saudita, Qatar, Giordania, Israele e Grecia. In ogni tappa, Kurilla ha incontrato militari statunitensi schierati a difesa di forze e interessi americani e ha condotto colloqui con i vertici delle forze armate locali. Il messaggio è chiaro: rafforzare la cooperazione operativa per affrontare le minacce comuni, in particolare quelle rappresentate dall’Iran e dalle tensioni nei teatri marittimi come il Mar Rosso.

In Arabia Saudita, Kurilla ha lodato il raggiungimento della piena operatività del sistema antimissile Thaad e ha discusso con il generale Fayyad Al-Ruwaili e i vertici sauditi della sicurezza condivisa. Ha anche incontrato il capo di stato maggiore yemenita, Sagheer Hamoud Ahmed Aziz, con cui ha discusso della libertà di navigazione nel Bab el-Mandeb, zona critica per la sicurezza geoeconomica globale — dove fino a poche settimane fa gli Usa combattevano contro gli Houthi, salvo poi trovare un’intesa diretta pragmatica di non belligeranza.

In Qatar, l’attenzione si è concentrata sulla risposta congiunta all’attacco iraniano di aprile — che aveva coinvolto anche la base di Al-Udeid, hub regionale del CentCom — e sul rafforzamento dell’interoperabilità bilaterale con un partner considerato “capace e disponibile” da oltre cinquant’anni, dice il Pentagono.

La tappa giordana ha sottolineato la continuità della partnership strategica con Amman, in un momento in cui la Giordania teme l’espansione del conflitto israelo-palestinese, con la destabilizzazione lungo i suoi confini settentrionali e orientali, e soprattutto teme che il riflesso di ciò che da quasi due anni sta accadendo a Gaza possa prima o poi avere ripercussioni all’interno del regno anche in termini di terrorismo.

In Israele, Kurilla ha incontrato i vertici dell’Idf, incluso il comandante dell’aeronautica, Tomer Bar, con cui ha discusso questioni strategiche regionali e l’interoperabilità tra le due forze armate — fondamentale per la difesa aerea dello Stato ebraico. Il passaggio ha valore anche politico: riaffermare il legame militare “ferreo” con Israele mentre Washington cerca di gestire il difficile equilibrio tra sostegno all’alleato e contenimento delle tensioni con i partner arabi, e mentre la Casa Bianca fa sapere che un accordo con Hamas potrebbe essere in arrivo — ipotesi detestata dalle fazioni più radicali del governo Netanyahu.

Infine, la visita si è conclusa a Creta, presso la base navale di Souda Bay, nodo cruciale per la difesa missilistica, la logistica e le operazioni di sicurezza marittima del CentCom nel Mediterraneo orientale che si proietta verso il Medio Oriente, area tornata recentemente turbolenta, con le dimostrazioni di forza greche davanti agli sviluppi degli accordi tra la Turchia e il Governo di unità nazionale di Tripoli.

La posta in gioco: allineare gli obiettivi

Il quadro è vasto, ogni angolo della regione ha sensibilità specifiche che a volte si sovrappongono. Dietro la cornice delle visite ufficiali, la missione di Kurilla appare come un esercizio di ascolto strategico e di military diplomacy. Il comando americano vuole comprendere quanto siano allineabili gli interessi israeliani con quelli degli alleati del Golfo, per esempio, preoccupati sia dall’instabilità causata dal conflitto con Hamas sia da una potenziale escalation diretta con l’Iran.

In gioco c’è la tenuta dell’architettura di deterrenza regionale e la capacità di mantenere il consenso attorno alla presenza militare statunitense, soprattutto in scenari critici come il Mar Rosso, il Golfo Persico e il Levante — dove Washington vuole evitare nuove tensioni tra Ankara e Atene, peraltro.

In un contesto in cui la diplomazia politica è spesso rallentata da calcoli interni e disallineamenti strategici, la proiezione di stabilità passa oggi, sempre più, attraverso il dialogo militare. Il CentCom, con questa missione, cerca di mantenerlo vivo, e propositivo. Kurilla si trova a gestire per conto non solo del Pentagono, ma dell’amministrazione Trump, una serie di dinamiche sensibilissime, che Kurilla gestisce sin dal 2022. E che a breve dovrebbe passare in mano al vice ammiraglio Brad Cooper, attualmente suo sottoposto come comandante della flotta navale del Cola do Centrale. Donald Trump lo ha scelto a inizio giugno per la guida del comando, con Kurilla a fine mandato, anche perché Cooper è noto per essere stato tra gli architetti dell’ampliamento delle partnership marittime multinazionali tramite varie partnership regionali.

Il capo del CentCom visita gli alleati. Tappe e dossier del tour di Kurilla

Il generale Kurilla ha condotto una missione di diplomazia militare in Medio Oriente per rafforzare le alleanze dopo lo scontro tra Iran e Israele. Il viaggio ha incluso tappe in Arabia Saudita, Qatar, Giordania, Israele e Grecia, con focus su interoperabilità e deterrenza regionale. L’obiettivo implicito è valutare la compatibilità tra le priorità israeliane e quelle dei partner arabi

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