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Ho titolato il pezzo omaggiando due film: Tutti a casa (1960, Luigi Comencini) e Non uno di meno (1999, Zhang Yimou). Nel primo c’era il desiderio di tornare a casa, simbolo di tranquillità, via dalla situazione drammatica di una guerra non voluta dai soldati. Il secondo film è la storia di una maestra tredicenne (Wei Minzhi) di un piccolo villaggio cinese che deve recarsi in città per recuperare un bambino in abbandono scolastico (sta lavorando). Si porta dietro tutta la classe. Ci riuscirà (anche grazie alla Tv) e tornerà al villaggio con “non un bambino di meno”.  Tra pochi giorni si torna a scuola, luogo sereno per crescere insieme ai coetanei e agli educatori, dopo aver subito la “guerra” del Covid-19.

Per questo anno scolastico 2021/22 governo, istituzioni, famiglie e Stato si stanno impegnando per la riapertura, come ormai leggiamo nei documenti ufficiali (decreti, note, comunicazioni, circolari) e diciamo in ogni nostra conversazione, “in sicurezza”. Da un lato la vaccinazione (per noi necessaria, cfr. intervento di Vito Tenore in Formiche.net del 5 settembre 2021) dall’altro le risorse che stanno ancora arrivando alle scuole, dovranno assicurare una ripresa della didattica in presenza. Quest’anno, e va riconosciuto al ministero dell’Istruzione, per la prima volta quasi tutte le scuole hanno i docenti in cattedra, sia quelli di ruolo sia i docenti con incarichi annuali, sin dal primo giorno di scuola.

Osservatori, “esperti”, sociologi, teorici della comunicazione e della pedagogia, giornalisti a vario titolo, laici o religiosi che siano, mai entrati in classe, mai diretto un istituto, cambiano aria alle gengive, gareggiando nel pontificare sulla importanza della didattica in presenza e sul fallimento della Dad. Che è come scoprir l’acqua calda che vien giù dallo scaldabagno acceso. Perché “mia figlia al quinto ginnasio… mio nipote al quarto anno di liceo… mia moglie professoressa… mio fratello prof… un mio caro amico preside… mi ha detto…”. E via con le concioni sulla scuola come “relazione” da porre in primo piano, come irrinunciabile “inclusione”, come “socialità” da recuperare.

Si argomenta di scuola come sulla formazione della nazionale di calcio, ossia migliaia di formule vincenti. Noi che viviamo nella scuola, h16 da circa 40 anni, sappiamo di inclusione, socialità, relazione. Ma sappiamo anche che i ragazzi debbono acquisire metodo e studiare per essere dei professionisti. Tecnici, medici, magistrati, docenti, giornalisti, ecc. Che non possiamo porre in secondo piano le competenze culturali e di disciplina, non incoraggiare le eccellenze.

Anche noi auguriamo un buon anno scolastico a tutti gli studenti e docenti. Felici di lavorare in presenza. Ma anche coscienti che se non avremo tutti un autentico comportamento etico, a scuola e in città, rischiamo di tornare in Dad. Che la Dad è una ruota di scorta, che va usata in caso di necessità per non rimanere fermi sulla strada come dei baccalà perché non sappiamo sostituire la ruota momentaneamente bucata.

Un augurio, il nostro, va a tutti quelli che lavorano nella scuola e che i media e gli “esperti” nei loro articoli e dichiarazioni dimenticano. I collaboratori scolastici (i noti “bidelli”), gli assistenti amministrativi, i Dsga (in passato chiamati “segretari”), i D.S. (i “presidi”). E poi i vari “gruppi” di lavoro: Consiglio di Istituto, Dipartimento, Consiglio di intersezione (infanzia), di interclasse (primaria), di classe. Il personale esterno che per un anno diventa interno: assistenti specialistici comunali o regionali (per i ragazzi con disabilità), gli psicologi e il “medico competente” (per tutta la comunità scolastica). E poi il personale degli uffici scolastici provinciali, e regionali. Chi lavora dal ministero.

Nella nostra memoria visiva il primo giorno di scuola è fissato dai personali fotogrammi della nostra infanzia e adolescenza. Eccoci a passo svelto verso il portone della scuola, poi nel corridoio verso la nuova classe a scegliersi il banco. Un posto per me e, quello accanto, per l’amico o l’amica del cuore. Ora bambini e ragazzi cercheranno di bloccare il banco singolo accanto o davanti.

Scuola elementare (1954) di Alberto Lattuada

Ci scorrono negli occhi le sequenze di tre bei film. Scuola elementare (1954) di Alberto Lattuada, Un anno di scuola (1977) di Franco Giraldi, Scuola elementare-obecná škola (1991) di Jan Svĕrák. Ecco i volti innocenti dei bambini italiani dei primi anni Cinquanta, scelti dal bravo Lattuada, poveri ma belli, mentre corrono allegri nel corridoio dietro al faccione bonario del bidello Pilade (Mario Riva). Giraldi, seguendo un affilato racconto di Giani Stuparich, ci parla dell’unica ragazza, la volitiva Edda Marthy (Laura Lenzi) in una classe liceale maschile, nell’ultimo anno di corso.

Siamo a Trieste 1914, poco prima dell’attentato di Sarajevo. Svĕrák ci porta al tempo della neonata Cecoslovacchia comunista, A.S. 1945/46. I bambini in classe sono attenti e intimoriti dal severo maestro; poi si scatenano giocando in un prato della periferia sud di Praga, sul relitto di un carro armato, immaginando come avrebbero combattuto se adulti.

Storie che abbracciano un secolo. Quel secolo breve ma intenso, quando in classe tutti, ricchi e poveri, sedevamo al banco doppio.

Tutti a scuola, non uno di meno

Il 13 settembre inizia il nuovo anno scolastico. Alunni, docenti, assistenti specialistici, personale Ata e presidi partiranno in presenza con la speranza che duri tutto l’anno. Recuperare “socialità” ma anche “premiare” i migliori. Il punto e il saluto del saggista e preside Eusebio Ciccotti, con un rimando cinefilo, da Comencini a Giraldi, passando per Svĕrák

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