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Quando una settimana comincia con un allarme sociale ti aspetti che tutti i giorni che seguono saranno segnati da commenti, reazioni, iniziative, e magari provvedimenti. “Nel prossimo futuro i giovani avranno una posizione sociale peggiore rispetto a quella dei genitori”: la sentenza emessa da Ilvo Diamanti, riferendo i dati della sua ultima indagine Demos, forse non era una novità assoluta, ma bastava per rafforzare le preoccupazioni sulla crisi demografica e sull’urgenza di mettere mano al problema dei problemi, finché si ha voglia e coraggio di guardare il futuro.

Giovani e futuro potrebbero essere quasi sinonimi. Se peggiora il futuro dei giovani, peggiora il futuro di tutti. Eppure, la settimana è proseguita stancamente tra notizie sul Covid e sulla quarta ondata, sul prossimo inquilino del Quirinale e sulle molestie in diretta tv subite da Greta Beccaglia davanti allo stadio di Empoli.

La gerarchia delle notizie è uno degli elementi che contraddistinguono il giornalismo. L’uscita dall’agenda setting dell’allarme di Diamanti sui giovani – “generazione sospesa” – dice qualcosa sul Paese e sui suoi media. Ma resta l’allarme.

Snoccioliamo le percentuali dei Neet (i giovani demotivati, che non studiano e non lavorano) come se fossero dati d’archivio. Invece sono da ascoltare come campanelli di allarme. In particolare, Alessandro Rosina, coordinatore del Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo, ha messo a fuoco il tasso di Neet tra i 25 e i 34 anni. che in Italia era pari al 23% nel 2008 all’inizio della grande recessione e risultava pari a 28,9% nel 2019 alla vigilia della pandemia (mentre la media Ue era pari al 17,4 per cento nel 2008 e al 17,3 per cento nel 2019). In genere si parla dei Neet tra 14 e 29 anni (anche in questo caso abbiamo il triste record europeo, 23,3%) ma l’età osservata da Rosina è quella “cruciale” per i progetti di vita, e quindi ancora più allarmante.

L’Istat sottolinea da tempo come l’Italia non sia “un Paese per giovani”. Tanto meno, “di” giovani. Gli “over 65” anni hanno raggiunto quasi un terzo del totale della popolazione e sono destinati a crescere. Nascono sempre meno bambini, anche nelle famiglie immigrate.

E visto che i giovani vanno dove ci sono i giovani, se ne vanno dall’Italia. Diamanti confermava nel suo report: “Sono circa 350 mila i giovani “emigrati all’estero”, negli ultimi 10 anni. La componente più elevata degli “emigranti dall’Italia”. Si tratta, soprattutto, di laureati e soggetti “qualificati”. Che partono per migliorare la loro preparazione e acquisire nuovi titoli. Ma, spesso, non rientrano”. Il fatto in sé potrebbe non essere preoccupante – il mondo globale, pandemia a parte, è un dato di fatto – se ci fossero altrettanti giovani qualificati che ritengono attrattiva l’Italia. Ma non è così.

Sempre meno giovani, sempre più propensi a fare esperienze qualificanti oltre confine, e per chi rimane, resta una prospettiva sempre più negativa, quella di stare peggio dei propri genitori. Quindi sfiduciati, senza voglia e capacità di competere.

La meritocrazia resta un tabù, il sostegno alle famiglie che fanno figli è affidato a bonus, che per loro natura sono temporanei, non danno certezza per il futuro. L’assegno unico che entrerà in vigore il prossimo anno è come sempre legato a Isee assai bassi. Basterà per invertire il trend demografico? Certamente sarà ininfluente per i giovani che cercano il proprio futuro. Per loro – se va bene – resta solo l’assistenza. Ma non è quello che serve per rilanciare il Paese e per guardare al futuro.

Secondo Rosina, “i ragazzi considerano deboli nel loro Paese i programmi di riqualificazione delle competenze. Accumulando così una fragilità che frena i progetti di vita e li porta a valutare con più preoccupazione il futuro”. I dati del Rapporto dell’Istituto Toniolo dicono che i giovani hanno capito di poter ripartire da loro stessi contando sulle proprie capacità. A un anno di distanza dall’emergenza Covid, il 45% ha capito di apprezzare più la vita e di essere più forte (40%). Solo il 12% ha detto di apprezzarla meno di prima”. E se il 40% dei giovani ha imparato a cavarsela da solo nelle difficoltà, di questi il 43% è formato da ragazze. Insomma, gli under 35 dimostrano di voler cambiare e rinnovare il Paese e si aspettano si scommetta su di loro per far partire una nuova stagione di sviluppo. “Servono però – conclude Rosina – strumenti e politiche adeguate”.

La campana è suonata, forte. Qualcuno l’ascolterà? La creatrice di Harry Potter, che di giovani dovrebbe intendersene, scriveva: “I giovani non possono sapere quello che i vecchi pensano e provano. Ma i vecchi sono colpevoli, se dimenticano che cosa significa essere giovani”.

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