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Il vertice Nato dell’Aja ha sancito – varando l’incremento per le spese della Difesa al 5% del Pil – un cambio di passo nella postura dell’Alleanza Atlantica, in vista del summit di Washington. Un vertice che qualcuno ha definito “storico” e dal quale, per usare le parole del presidente della Finlandia, Alexander Stubb “sta nascendo una nuova Nato, più equilibrata e che comporta una maggiore responsabilità per l’Europa”. L’aumento delle spese militari, la ridefinizione delle priorità strategiche e la necessità di un deterrente più efficace verso le potenze revisioniste – Russia in testa, ma anche la Cina – sono stati al centro delle discussioni. “L’esito dell’Aja è però un risultato parziale. Adesso, l’impegno comune dovrebbe essere quello di costruire finalmente un esercito europeo, con una struttura di coordinamento accompagnato a un cambio di passo sul piano delle politiche economiche di stampo neo keynesiano”. A dirlo a Formiche.net è Giulio Sapelli, economista e storico delle relazioni internazionali.

Professore, il vertice Nato in Olanda segna un rafforzamento del pilastro europeo dell’Alleanza. È davvero un punto di svolta?

Siamo tornati per certi versi a prima della Seconda guerra mondiale. Il centro dell’Europa è di nuovo la Germania, e i tedeschi sono tornati a esercitare un’influenza politica e militare che avevano in parte accantonato. Ma attenzione: è una vittoria degli Stati Uniti. L’Europa federalista, senza frontiere, non esiste di fatto. È rimasta un’utopia, e in questa fase storica i tedeschi stanno riempiendo un vuoto lasciato da altri.

Quindi non vede un rafforzamento dell’Unione Europea come soggetto politico e strategico?

La Germania, attraverso l’alleanza con Polonia e Paesi baltici, emerge nonostante nonostante un contesto apparentemente non favorevole a questo ritorno massiccio della potenza tedesca. Quello che vediamo è un rimescolamento profondo dei rapporti di forza. Un’azione di deterrenza verso russi e cinesi è assolutamente necessaria e non più rinviabile. Occorre però che venga costituito un esercito europeo, autonomo ma complementare alla Nato.

L’aumento delle spese per la difesa può colmare questo vuoto?

È un primo passo, ma non vedo una strategia a lungo termine. Il documento della Nato è vago, debole teoricamente. Senza una visione condivisa, ci vorranno almeno vent’anni per costruire qualcosa di solido. E nel frattempo il mondo cambia molto più in fretta.

Da dove trarranno le risorse i Paesi membri per sostenere l’impegno al 5% del Pil? 

Finché resteremo incatenati al Trattato di Maastricht, i bilanci degli Stati saranno rigidi. Significa che ogni euro in più alla difesa sarà tolto alla scuola, alla sanità, alla coesione sociale. Occorrerebbe una politica neo-keynesiana, di investimento pubblico intelligente. Ma oggi vedo all’orizzonte solo il rischio di grandi disordini sociali. Fare una politica di difesa seria significa anche prevenire queste esplosioni.

In questo quadro l’Italia che ruolo gioca?

Paradossalmente è l’unica che si comporta con una certa coerenza. Lo spagnolo Sanchez ha fatto la figura dell’anarco-sindacalista filocinese, mentre il governo Meloni ha tenuto una linea solida, anche sul piano internazionale. Ci sono delle buone enunciazioni, certo. Ma ora bisogna cambiare politica economica. È questo il vero banco di prova. Non si può sostenere una postura atlantica senza risorse, senza una strategia industriale, senza una revisione delle regole europee. Fra l’altro in questo quadro complesso, l’Italia ha tutto l’interesse a una postura saldamente atlantista data anche la presenza di basi americane disseminate in tutto il territorio nazionale.

Nel suo ultimo libro “Il grande ritorno. La nuova era di Trump” (Guerini) anticipava un cambiamento radicale con il ritorno alla Casa Bianca del tycoon. Come si è tradotta la sua previsione? 

Avevo intravisto l’emergere di una nuova alleanza geopolitica: Germania, Polonia, Paesi baltici. Questo blocco diventerà dominante in Europa. Parallelamente, assisteremo a una decomposizione crescente del Medio Oriente. E tutto questo mentre gli Stati Uniti, in risposta alla cultura woke che li ha lacerati internamente, rischiano di  trasformarsi in una potenza senza egemonia. Trump comunque con la sua mossa del cavallo – i dazi – è riuscito a ottenere ciò che voleva dall’Unione Europea.

Per rimanere in Ue, i socialisti europei hanno lanciato un ultimatum alla Von der Leyen sui nuovi criteri green. C’è uno sbilanciamento della presidenza sulle posizioni dei popolari?

Penso che i socialisti europei stiano assumendo un atteggiamento davvero incomprensibile. Non avendo ancora capito peraltro che se l’Ue avesse confermato la direzione assunta con le politiche di Timmermans sarebbe stato un disastro sotto tutti i fronti. Un’ideologia anti industriale pericolosissima.

Il 5% sulla Difesa è solo un passo. Ora l'esercito europeo e una nuova politica economica. Parla Sapelli

Il vertice Nato all’Aja segna un’accelerazione nella costruzione di una nuova postura europea nella Difesa, ma per Giulio Sapelli resta un passo incompleto. Serve un esercito europeo vero, una strategia economica neo-keynesiana e il superamento dei vincoli di Maastricht. La Germania torna protagonista con un asse centro-orientale, mentre l’Italia mantiene coerenza atlantica. Ma senza visione comune, l’Europa rischia di restare spettatrice in un mondo che cambia troppo in fretta

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