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La Fondazione Tarantelli e l’Associazione Economia Reale hanno presentato la mattina del 17 novembre il XV Rapporto sull’Economia italiana redatto sotta la guida del Presidente dell’Associazione Mario Baldassari. Il panel di commentatori includeva Romano Prodi, Gustavo Piga, Alberto Quadrio Curzio e Ferruccio De Bortoli. Sono intervenuti numerosi altri economisti presenti – i partecipanti erano circa una cinquantina.

Non è questa la sede per riassumere il rapporto (che è in corso di pubblicazione) o per dare conto del dibattito (di cui sarà disponibile una registrazione). È importante, tuttavia, fare alcune notazioni che possono essere utili al momento in cui il Senato sta cominciando ad esaminare il disegno di legge di bilancio.

In primo luogo, nonostante che numerosi degli economisti presenti abbiano rapporti di colleganza ed anche di amicizia con l’attuale presidente del Consiglio, il rapporto dice chiaro e forte cosa non va, a detta degli economisti che hanno partecipato al seminario, nella politiche del governo, soprattutto in materia di finanza pubblica: dopo venti anni di stagnazione (corredata con le due recessioni del 2008-9 e de 2011-13) e dopo la perdita di nove punti percentuali del Pil dovuta alla pandemia, sarebbe stata necessaria una scossa ed una svolta tale da attivare non solo un recupero ma una crescita duratura e sostenibile nel medio e lungo periodo.

Le stime econometriche nel rapporto suggeriscono che a politiche invariate (quali delineate nell’ultima Nadef – Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza – e nel disegno di legge di bilancio), dopo un rilancio dovuto sia al “rimbalzo” in seguito alla recessione da pandemia sia al Piano nazionale di riprese e resilienza (Pnrr), l’economia italiana tornerà a tassi di crescita dell’1,5% l’anno – migliori di quelli del ventennio 1999-2019 ma pur sempre inferiori della media dell’unione monetaria e del nostro potenziale. Con perdita, quindi, di peso in Europa e nel mondo.

In secondo luogo, come sterzare ed accelerare? Dal rapporto e dal dibattito emerge un consenso. Da un lato riforme soprattutto in materia di pubblica amministrazione, giustizia e concorrenza molto più incisive di quelle ora in cantiere e specialmente una profonda riforma tributaria che sappia sostenere manovre di bilancio in grado di realizzare un forte aumento dell’investimento pubblico (tale da attirare un incremento di quello privato) e di contenere la spesa di parte corrente riducendo sia le tax expenditure sia voci puramente assistenziali tali da indurre, come si è visto di recente, a malversazioni oltre che a disfunzioni.

In terzo luogo, un programma su queste linee (presentate in dettaglio nel rapporto) per essere attuato richiede una visione di lungo periodo. Nel dibattito, è stato fatto spesso riferimento alla “Nota Aggiuntiva” che Ugo La Malfa presentò al Parlamento il 22 maggio 1962. È stato anche rilevato che allora la “Nota Aggiuntiva” ebbe un forte impatto culturale ma un seguito limitato in materia di misure concrete di politica economica. Ora, la visione dovrebbe incidere non solo sulla cultura di governo, parlamento ed opinione pubblica ma anche su concrete strategie, programmi e misure.

In quarto luogo, l’Unione europea(Ue). Indubbiamente il cammino dell’Italia potrebbe essere più facile in un’Ue “sempre più stretta”, con un bilancio più vasto, con la capacità di raccogliere fondi sul mercato internazionale, in grado di rendere permanenti strumenti come il Next Generation EU e con “parametri” per il funzionamento dell’unione monetaria che tengano sotto controllo la spesa di parte corrente non il disavanzo aggregato di bilancio. Occorre pensare, però, che sarà difficile attuare riforme di questa portata nell’Ue e che dovremo trovare un percorso per farcela da soli.

Osservazione da incontentabili “benaltristi” – coloro che chiedono sempre “ben altro” anche di fronte a percorsi seri? Non proprio. Si tratta del consenso di una larga parte della professione. Merita, quindi, di essere ascoltato.

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