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Chissà se a Villa San Martino stanno già preparando ostriche e champagne. Almeno un brindisi, quello sì: Silvio Berlusconi lo deve a Giorgia Meloni. “Gli ha fatto un favore inaspettato, un assist da maestri”. Gongola Giuliano Urbani, padre e padrino di Forza Italia, di cui è stato co-fondatore e ideologo. Trent’anni dopo, è ancora tra i più fini conoscitori del Cavaliere e della sua epopea politica. E segue divertito il capitolo finale, quella tentazione quirinalizia che, ogni giorno che passa, è sempre meno una tentazione e sempre più un piano d’azione.

Berlusconi ci crede davvero: con un po’ di moral suasion e qualche gioco d’aula, la dea bendata può spedirlo sul Colle più alto a febbraio, per prendere il posto di Sergio Mattarella. E però i progetti per la scalata hanno subito una battuta d’arresto questo mercoledì. Quando la leader di Fdi, con una certa nonchalance, ha deciso di bombardare la sua candidatura: Berlusconi, ne è convinta, ha già fatto “un passo indietro” quando ha aperto al dialogo con il Pd sulla legge di bilancio.

“Che non fosse entusiasta all’idea di Berlusconi candidato lo sanno anche i muri – confida Urbani – ma ha commesso un errore, anzi due”. Il primo è il tempismo. “È uscita allo scoperto troppo presto. Con tre mesi di anticipo, Berlusconi ha il tempo di incassare il colpo e recuperare”. Dunque il secondo: “Ha fatto capire che il leader di Forza Italia qualche chance ce l’ha. Ha dato credibilità a una candidatura che era già azzoppata”.

Non è questa la lettura che il Cav ha dato di primo acchito della sortita meloniana. E infatti il giorno dopo è partita la controffensiva sui quotidiani di centrodestra, Il Giornale in testa, con due cavalli di battaglia: no, Berlusconi non ha fatto un passo indietro e sì, è l’unica speranza per i peones in Parlamento che vogliano incassare la pensione prima della fine.

Urbani è convinto invece che Berlusconi debba alzare i calici per l’assist della Meloni, cin-cin. “Stiamo diventando il Paese dei “goffi”. Un autogol dopo l’altro. E con tutto il rispetto, Matteo Salvini e Giorgia Meloni sono due campioni di autogol. Ricordano due vecchi calciatori, Comunardo Niccolai del Cagliari e Francesco Morini alla Juventus. Due ottimi centrali, con una propensione a fare gol… nella porta sbagliata”.

Il professore non si fa illusioni. Fra i corridoi del Parlamento sono in pochi a credere che Berlusconi possa sopravvivere ai fucili puntati delle prime votazioni. Ma se nessuno dovesse spuntarla prima, dalla quarta in poi potrebbe giocarsi le sue carte. “Per lui sarebbe il coronamento di una carriera, ci pensa da tempo. Fra tanti candidati inamovibili, pronti a inalberarsi, Berlusconi offre una candidatura light: sarebbe disposto, anche per l’età, a lasciare dopo due anni, magari per far spazio a quella proposta di riforma semipresidenziale avanzata da Rotondi”. Un nome perfino più spendibile di Mario Draghi. “Draghi è utile al Paese se resta a Palazzo Chigi. Da lì può tenerlo unito, dal Quirinale no: non siamo una repubblica presidenziale”.

Certo, trent’anni di navigazione nella burrasca della politica italiana hanno insegnato l’ex premier a fidarsi poco dei nemici e ancora meno degli amici. Tra una pacca sulla spalla e l’altra, nel centrodestra c’è chi già si prepara a tirare sul suo nome nel segreto dell’urna. “Berlusconi ha le sue colpe. Ha voluto fare un partito a sua immagine e somiglianza. Ha avuto una chance di dargli un futuro, ma poi ha rinunciato. A Napoli la chiamano ammuina: ha sempre puntato su cavalli zoppi per la successione, e oggi si ritrova un partito che senza lui non esiste. Anzi, non esiste proprio”.

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