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Mentre gli Stati interessati prestano attenzione alla situazione in Afghanistan, stanno anche adeguando costantemente le proprie politiche nei confronti di questo Paese. E un nuovo ciclo di “giochi” sulla questione afgana è appena iniziato.

Il ritiro delle truppe sovietiche dall’Afghanistan nel 1989 non è stato solo un punto di svolta nella storia afgana e sovietico-russa, ma ha avuto anche un profondo impatto sulla geopolitica e sulla situazione internazionale.

La brusca situazione politica in Afghanistan sta catalizzando cambiamenti geopolitici regionali.

Dal punto di vista dell’orientamento politico, la cosa più importante agli occhi degli Usa attualmente risiede nelle direzioni strategiche nazionali e internazionali, piuttosto che in questioni come l’antiterrorismo regionale. Dopo l’eliminazione di Bin Laden, l’antiterrorismo non era più considerato la questione più importante e prioritaria. Sia l’ex presidente Trump che l’attuale presidente Biden hanno sottolineato che la Casa Bianca non ha più alcun obbligo di aiutare l’Afghanistan a costruire una nazione democratica, checché ne dicano i prìncipi europei del piagnisteo.

Per Biden, ripristinare il morale e la fiducia pubblica delle agenzie governative che sono state colpite da suo voltafaccia e mantenere lo status statunitense di egemonia del mondo sono i compiti principali. Biden ha menzionato ancora nel suo discorso del 16 agosto: “I nostri veri concorrenti strategici – RP Cina e Russia – sperano maggiormente che gli Usa continuino a investire miliardi di dollari in risorse e attenzione ogni anno a tempo indeterminato per stabilizzare la situazione in Afghanistan”.

Pertanto, la rapida sconfitta del governo Ghani nel Paese non solo non ha mutato la comprensione di Biden sulle politiche dell’Afghanistan, ma ha invece rafforzato la sua convinzione ad aver fatto bene a ritirare le truppe: “Gli sviluppi della scorsa settimana hanno ulteriormente dimostrato che gli Usa hanno adottato la decisione giusta per porre fine al intervento militare in Afghanistan”.

Pur ritirando le truppe e riducendo gli investimenti, l’amministrazione Biden ha espresso la speranza che RP Cina e Russia si assumano maggiori responsabilità per mantenere la stabilità afgana, in qualche modo salvare la faccia a Washington che “lascerebbe” un Paese pacificato. Sì facendo gli Usa s’illudono di conservare un minimo di presenza politica, non cedendo la totalità del potere regionale a Pechino, Mosca, ecc. Pertanto, gli Usa sono ansiosi di raggiungere un accordo di pace all’interno dell’Afghanistan e hanno persino indotto la parvenza dell’ex governo afgano a scendere a compromessi con i talebani in molte occasioni. Però le politiche dell’amministrazione Biden non hanno realmente promosso colloqui di pace in Afghanistan e i talebani, non solo hanno raggiunto i loro obiettivi con la forza militare, ma convergendo verso attori terzi.

Se il ritorno dei talebani e la rapida sconfitta del governo fantoccio hanno dichiarato un completo fallimento della politica statunitense, comunque in futuro gli Usa saranno ancora un Paese chiave per gli affari esteri di codesto Paese.

Poiché l’azione militare ventennale degli Usa non ha mai mostrato risultati evidenti, la Russia ha gradualmente cambiato atteggiamento nei confronti dei talebani afgani e della loro politica, passando dal sostenere di facciata le operazioni militari della Nato all’appello per l’uso di mezzi politici onde risolvere l’ormai più che secolare problema afgano. La Russia è disposto ad agire da intermediario per promuovere attivamente trattative politiche fra gli Usa e i talebani: per cui non devono affatto stupire le caute aperture di Biden verso gli ex nemici numero uno.

Dall’inizio dei negoziati interni in Afghanistan, la Russia è stata in contatto con varie parti interessate per garantire che svolgerà il suo ruolo in futuro. Sebbene la Russia si sia sempre opposta alle organizzazioni estremiste (tempo fa inclusi anche i talebani), poiché la realtà è cambiata, negli ultimi anni ha iniziato a fornire un sostegno parziale ai talebani. E nel mese di luglio – quando l’intelligence di Mosca aveva subodorato crollo e ritiro Usa – le due parti ex nemiche hanno ulteriormente rafforzato i legami politici. Per cui dagli errori interventisti del politico Brežnev, siamo passati all’astuzia e acume di Putin, già colonnello del Kgb.

La Russia potrebbe svolgere un ruolo decisivo in Afghanistan. Da un lato, il ritiro degli Usa offre alla Russia opportunità e spazio per approfondire la sua influenza regionale; dall’altro, per considerazioni di sicurezza nazionale, la Russia non vuole che il ritiro dei cowboy causi la ricaduta del terrorismo e l’estremismo su un territorio confinante con quelle repubblica musulmane a loro volta con frontiera comune con quella russa, non dimenticando la cenere che copre il fuoco ceceno.

Il ritorno al potere dei talebani in Afghanistan sembra una conclusione scontata sulla base dell’analisi della situazione attuale e trascorsa – date le loro forza militare e determinazione. Esso ritorno ha destato, però, le preoccupazioni dell’establishment dei Paesi dell’Asia centrale (di eredità sovietica), per cui la Russia ha colto il destro per rafforzare la sua presenza militare e l’influenza politica in Asia centrale. Non dimentichiamo che il 5 agosto scorso, Russia, Tagikistan e Uzbekistan hanno tenuto esercitazioni militari congiunte nell’area al confine con l’Afghanistan per garantire il controllo del confine tagico.

La sicurezza e la stabilità di un Paese chiave come l’Afghanistan sono sempre state una parte importante della sicurezza regionale anche nell’Asia meridionale. L’India – Paese nucleare e da sempre grande attore nelle relazioni internazionali, con la sua antica amicizia con Mosca in funzione anti Pakistan filocinese – si è sempre posta nella posizione di una potenza leader nell’Asia meridionale e vede un suo intervento di pacificazione in Afghanistan come un canale per rafforzare la sua tradizionale influenza internazionale.

Considerando la sicurezza nazionale e gli inestricabili legami tra i talebani afgani e il predetto Pakistan, l’India non desiderava affatto che l’Afghanistan cadesse nelle mani dei talebani, per questo l’India da tempo sosteneva il governo afgano, rectius il municipio di Kabul. Dall’inizio del ritiro militare degli Usa, l’India ha prestato molta attenzione agli svolgimenti afgani e ha gradualmente allentato il suo atteggiamento ostile nei confronti dei talebani. Quando, sotto l’assalto dei nuovi governanti, le inconsistenti forze governative si sono ritirate costantemente, l’India è rimasta in silenzio di fronte alla richiesta di aiuto del municipio di Kabul, però almeno si è prodigata molto nell’accogliere le persone afgane in cerca di un rifugio.

Al momento, la situazione generale dell’Afghanistan è determinata, e il governo indiano sta affrontando una doppia pressione da parte dell’Afghanistan e del Pakistan. Da un lato, l’India è preoccupata che dopo che i talebani avranno controllato l’Afghanistan, i terroristi si diffonderanno nel Kashmir (la zona dal 1946 contesa col Pakistan); dall’altro, il rapporto speciale tra i talebani afgani e il Pakistan rende l’India profondamente preoccupata, per non dire minacciata.

A causa della sua stretta relazione con i talebani afgani, il Pakistan svolgerà un ruolo maggiore nelle relazioni di questo Paese, ma dovrà anche affrontare maggiori sfide e pressioni. Al fine di completare con successo il ritiro delle forze militari, l’amministrazione Biden – per rafforzare le apparenze – ha iniziato ad allentare le relazioni con il Pakistan, però ha confermato il Pakistan come partner a lungo termine degli Usa. Le voci raccolte da vari servizi segreti, secondo cui gli Usa stiano cercando di stabilire basi militari in Pakistan, indicano pure che la posizione del Pakistan nella geostrategia statunitense è stata ripristinata, a tutto svantaggio dell’India.

Ci sono sempre stati molti conflitti tra Pakistan e India su questioni come dispute territoriali, questioni etniche e religiose e, non ultima, il problema dei talebani in Afghanistan. Il ritiro degli Usa potrebbe dare al Pakistan opportunità di espansione strategica e aumentare le carte pakistane sul tavolo nei confronti dell’India. Non per nulla, in risposta ai vari cambiamenti politici che potrebbero verificarsi in Afghanistan, il Pakistan ha partecipato attivamente al processo di pace in Afghanistan da quando gli Usa si sono ritirati. Ciò che disturba il Pakistan è che i leader talebani ha mostrato una tendenza a sbarazzarsi dell’influenza del Pakistan e ha cercato una maggiore autonomia politica. La situazione attuale in Afghanistan sembra chiara, ma i movimenti dei capi afgani dopo aver assunto con successo il potere sono anche pieni di incertezza per il Pakistan. Inoltre, la riuscita ascesa della nuova dirigenza ha effetti stimolanti e dimostrativi sui talebani che risiedono in Pakistan (il santuario dei talebani), sull’Esercito di liberazione del Belucistan e su altre organizzazioni terroristiche e separatiste in Pakistan: un problema realisticamente che Islāmābād deve affrontare. Per motivi di sicurezza nazionale, il Pakistan ha ora bloccato il più grande valico nel Khyber Pakhtunkhwa (ex Provincia della Frontiera del Nord Ovest), che confina con l’Afghanistan, e ha avviato negoziati ufficiali con i talebani.

A sua volta la Turchia ha sempre partecipato attivamente alla questione afgana e spera di espandere la sua influenza nel mondo islamico e persino presenziando la questione afgana. La Turchia con un piccolo numero di truppe di stanza in Afghanistan ha raggiunto un accordo con l’esercito statunitense per assistere volontariamente la difesa dell’aeroporto di Kabul, situato in una posizione strategica, sperando di ottenere capitali per transazioni con Usa, Russia, Pakistan e partiti locali per rafforzare la propria posizione in quel Paese.

Dopo che i talebani sono entrati a Kabul, il presidente turco Erdoğan ha mostrato disponibilità per colloqui di pace, sperando di poter mantenere la presenza militare della Turchia in Afghanistan, in particolare nel controllo dell’aeroporto di Kabul. Sebbene i talebani siano insoddisfatti del fatto che la Turchia abbia raggiunto un accordo con gli Usa per gestire l’aeroporto di Kabul, Ankara continuerà ancora ad essere un importante pezzo sulla scacchiera afgana in futuro a causa delle basi storiche delle proprie relazioni con quell’antico Paese.

In termini economici, l’Afghanistan è un canale importante per i Paesi dell’Asia centrale, in maniera tale da poter aprire il mercato dell’Asia meridionale e condurre trasporti e commerci di materiali energetici. La ripresa di potere dei talebani influenza direttamente il commercio con l’Asia meridionale.

In termini di sicurezza, le possibili turbolenze in Afghanistan dopo il ritiro degli Usa amplificheranno in una certa misura gli effetti di ricaduta del terrorismo sul territorio afgano; causeranno la diffusione della droga, e l’afflusso di un gran numero di rifugiati in Asia centrale. Tagikistan, Uzbekistan e Turkmenistan confinano con l’Afghanistan. La situazione attuale fa sentire ai tre Paesi un’enorme pressione di sicurezza. Sotto tale pressione, i tre possono riesaminare gli accordi di difesa e sicurezza bilaterali e multilaterali e i Paesi dell’Asia centrale possono rafforzare la cooperazione al loro interno.

Dopo il ritiro degli Usa, alcuni segnali hanno mostrato che la Casa Bianca e il Cremlino sono interessati a ricostruire o espandere le basi militari in Asia centrale. La Russia ha persino organizzato un viaggio di esperti militare di cinque giorni in Tagikistan e Uzbekistan, presso il poligono di tiro di Harb Maidun vicino alla frontiera con il Tagikistan.
E mentre gli Usa e altri Paesi occidentali si ritirano frettolosamente con la coda fra le gambe – l’ambasciatore italiano è stato il primo su ordini del nostro ministro degli Esteri – i Paesi dell’Asia centrale man mano estendono la loro dipendenza dalla Russia per questioni di sicurezza, nel caso in cui i talebani non inviassero in futuro segnali di distensione agli Stati dell’Asia centrale.

Come avevo scritto giorni fa oggi i talebani sono molto più forti, rispettati e riconosciuti internazionalmente che non nel 1996, e tutto questo grazie ai fiaschi di Usa e dei propri sodali europei.

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