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I summit della Nato in formato “capi di Stato e di governo” non sono frequenti. Vengono preparati con meticolosità, il comunicato finale è preconfezionato dagli sherpa e molto raramente quello che poi viene rilasciato contiene varianti sostanziali rispetto all’originale. È un lungo lavoro di pazienza, soprattutto oggi che a colpi di ”allargamento”, con l’ingresso della Macedonia del Nord gli Stati aderenti sono ormai saliti a trenta, in aumento. A partire dal 1949 questo vertice si è riunito in sessione completa solamente 31 volte, sempre con le medesime modalità. Qualche episodio frizzante si è notato solo nel corso del quadriennio “disturbatore” di Donald Trump. Con l’attesa presenza di Joe Biden e, per noi, di Mario Draghi, tutto rientrerà nella norma.

Ciononostante, questa 32esima edizione sta creando un certa aspettativa, foriera, secondo alcuni, di amare delusioni. Come sempre succede, piuttosto che nel vertice gli argomenti più interessanti e concreti verranno discussi negli incontri bilaterali. Dei quali, però, oltre alle solite indiscrezioni, sapremo solo ciò che ci verrà raccontato. Si sarà notato come il segretario generale Jens Stoltenberg si sia recato negli Usa a incontrare presidente ed ufficialità solo pochi giorni prima del summit.

È noto come il concetto strategico della Nato sia l’architrave di tutta la politica dell’Alleanza, fornendo indirizzi politici e settori di intervento. Il processo di adattamento non brilla certo per dinamicità, se in 71 anni dal trattato di Washington il Concetto conta appena sei edizioni, delle quali le ultime tre – le uniche rese pubbliche – sono state approvate in tempi post-murali (1991, 1999 e 2010). Quello in vigore ha ormai undici anni di vita: è proprio dagli accordi per la sua riscrittura, quindi, che dovrebbero derivare le risposte alle aspettative createsi con l’avvicendamento tra Trump e Biden.

Tuttavia, nonostante alcune iniziative per riscriverlo siano partite già dal vertice di Newport del 2014, in ambito Nato non sembra evidente una eccessiva fretta di cambiare. D’altro canto, storicamente il concetto è sempre stato scritto all’ombra della moral suasion del presidente Usa, e così continuerà ad essere. Gli osservatori più attenti potrebbero aver già osservato che anche Joe Biden, che parte dal vantaggio che gli perviene dalla parte utilizzabile dell’eredità del predecessore (potenziamento della triade magica del potere, ovvero supremazia militare, cibernetica e spaziale), potrebbe non avere nessuna fretta nel volersi “sporcare le mani” riscrivendo da capo un Concetto approvato a Lisbona dal suo predecessore e attuale mentore, Barack Obama, già modificato nei fatti dal deprecatissimo (ma in questo caso utile) Donald Trump. Infatti, una scappatoia c’è, perché “adeguare” qualcosa non necessariamente significa “cambiare”. Quindi, niente sorprese: ciò che ci attende è un cambiamento di atteggiamento, molto meno di sostanza. Ecco perché molte aspettative andranno deluse.

A questo punto, un’occhiata a volo d’uccello al Concetto di Lisbona 2010 può tornare utile. In otto capitoli e 32 paragrafi, illustra un ampio spettro di linee guida e di obiettivi. Riguarda infatti compiti e principi, scenario in chiave sicurezza, concetti di difesa e deterrenza, gestione delle crisi, promozione della sicurezza internazionale attraverso la cooperazione (quel “multilateralismo” che piace a tutti), controllo degli armamenti, disarmo e non proliferazione, politica delle “porta aperta” e partnership regionali (leggi Ucraina). Il tutto anticipato da una premessa dove si afferma che la Nato rimarrà un’Alleanza militare e chiuso da una Conclusione dove fanno da lume i tanto condivisi (ma raramente applicati) principi universali.

C’è già tutto e di più di ciò che i fans del politicamente corretto possano desiderare. Perché cambiare? Sarà però necessario almeno aggiornare lo scenario agli effetti della sicurezza, con una maggiore attenzione al Sud, e recepire con più chiarezza i tre mantra della difesa collettiva, ovvero supremazia militare, cibernetica e spaziale. Ciò richiederà di insistere sulla richiesta di una più equa suddivisione della spesa militare, e questo, come hanno sempre fatto tutti i Presidenti degli Stati Uniti, certamente lo farà anche Joe Biden. L’argomento Ucraina sarà necessariamente sul tappeto, ma difficilmente, nonostante l’ultima visita (molto assertiva) del nostro ministro degli Esteri Di Maio, troverà Joe Biden disponibile ad apportare elementi concreti. Retropensiero: “prima pensiamo alla Cina, e poi regoleremo i conti con la Russia”. Con buona pace di chi ha sottoscritto la Via della Seta, fatto concessioni sui porti e puntato tutto sulla ”autonomia strategica” europea. Anche qualche possibile successore would be del presidente Mattarella si sentirebbe obbligato a rimangiarsi qualche entusiasmo: inimicarsi troppo lo Zio Sam è sempre pregiudizievole.

Il nostro apprezzatissimo presidente del Consiglio Mario Draghi proverà senza dubbio a far rendere esplicito, nel rimaneggiato Concetto Strategico, quel maggiore interesse per l’area Sud per la quale ci siamo a lungo spesi a corrente alternata, riuscendo perfino a stringere una sorta di intesa con i cugini d’oltralpe. Questo Joe Biden presumibilmente lo accetterà come proprio recondito pensiero (“dopo il nuovo pivot asiatico, proteggersi le spalle in Africa e in Medio Oriente non è sbagliato”), ma non è affatto detto che questo favorisca proprio l’Italia.

La Turchia osserva noi, e Joe Biden osserva entrambi. Se dovesse per caso giudicare Ankara (che ha qualcosa da farsi perdonare) capace di muoversi con più decisione, maggiore efficacia operativa e più spregiudicatezza di Roma, allora non c’è alcun dubbio su dove cadrebbe la sua scelta. America first vale anche per lui, ed il gesto di fiducia avrebbe l’ulteriore vantaggio di chiudere nel cassetto, per il tempo che basta, i battibecchi sull’insano rapporto tra Putin ed Erdogan, e tra quest’ultimo ed i Fratelli Musulmani. È proprio in quest’area, per noi di interesse primario, che potremmo essere colti dalle più amare sorprese, mentre la mano di vernice fresca che rifarà il look al vecchio Concetto Lisbona 2010 non ci coinvolgerà più di tanto.

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