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Per rendere l’idea, e offrire qualche dato, ogni anno quasi 409.000 vite vengono stroncate dalla malaria. Si stima che i bambini più piccoli rappresentino circa il 64% delle vittime. Il 94% del totale dei casi di malaria (su 215 milioni) si verifica nell’area dell’Africa subsahariana (dati Oms, “World Malaria Report 2020”).

Com’è noto, questa malattia infettiva è causata dai parassiti protisti del genere Plasmodium, che si trasmettono all’uomo per la puntura di una zanzara (suo malgrado) infetta. Gli effetti variano a seconda della specie di Plasmodium coinvolta. I sintomi più noti e tipici della malaria sono brividi e febbre che tendono a ripetersi ciclicamente: a giorni alterni nelle infezioni da Plasmodium Vivax e Plasmodium Ovale, e ogni tre giorni nelle infezioni da Plasmodium Malariae. I cicli provocati da Plasmodium Falciparum poi sono più frequenti e violenti, e in questo caso la febbre tende ad essere continua. Se l’infezione raggiunge il cervello, specialmente nei bambini, può causare danni cerebrali irreversibili, disturbi cognitivi, coma e morte.

Ci sono voluti oltre quarant’anni di ricerca e di sperimentazione perché l’azienda farmaceutica britannica GlaxoSmithKline – che in Italia, tra le altre cose, è impegnata sul fronte degli anticorpi monoclonali contro il Covid – producesse il Mosquirix (sigla RTS, S/AS01). Mosquirx, questo il nome di battesimo, è una proteina ricombinanta della proteina superficiale del P. Falciparum, adiuvata dall’antigene superficiale del virus dell’epatite B, e da liposomi, cioè particelle di lipidi, contenenti un antagonista del Toll-like receptor 4 (il recettore che attiva la risposta immuno-infiammatoria).

È stato dimostrato, tra le altre cose, che Mosquirix induce anticorpi contro il virus dell’epatite B con la stessa efficacia di un vaccino contro l’epatite B attualmente autorizzato. Secondo l’Ema, il vaccino dovrà essere somministrato soprattutto nelle aree maggiormente colpite da Plasmodium falciparum (Nigeria, Congo, Tanzania, Burkina Faso, Mozambico e Niger) e per quanto possa aiutare a contrastare l’epatite B non potrà essere utilizzato con questa esclusiva finalità.

Nell’ultima fase di una sperimentazione condotta in tre Paesi pilota (Ghana, Kenya e Malawi) su circa 800.000 bambini, Mosquirix si è mostrato efficace nella riduzione dei contagi infantili soprattutto nei 12 mesi successivi alla terza iniezione.

In uno studio più ampio che ha coinvolto oltre 120.000 bambini di 7 Paesi africani, il numero di bambini che ha contratto la malaria, dopo la prima dose, è stato inferiore del 24% tra i soggetti di età compresa tra 6 e 12 settimane, e del 43% per quelli di età compresa tra 5 e 17 mesi. Si è visto quindi che Mosquirix fornisce una protezione che può salvare migliaia di vite nella fascia di età più a rischio di malaria. Il margine di efficacia resta basso (30%), ma è già un risultato molto importante e consolante. La protezione offerta dal vaccino è a breve termine: dopo la terza dose si riduce nel tempo. Per questo motivo è necessaria una quarta iniezione, da farsi con uno scarto di 18 mesi dalle prime tre.

Se gli studi fino al 2015 non sembravano troppo confortanti, con un’efficacia del 50% nel primo anno e un crollo a zero, nel quarto, le 2,3 milioni di dosi somministrate nell’ultima sperimentazione hanno invece mostrato una riduzione media del 30% della sintomatologia grave, rendendo decisamente conveniente, per quanto ancora non risolutivo, l’utilizzo del vaccino.

Si tratta di una ricerca che la GlaxoSmithKline ha avviato negli anni ’80, e che oggi, grazie anche ai finanziamenti di un’alleanza coordinata dall’Oms (composta da Gavi, Vaccine Alliance, Fondo globale per la lotta all’Aids, alla tubercolosi e alla malaria, Unitaid, Path, Unicef e Gsk) ha raggiunto un risultato decisamente importante, che resta un primo passo, ma è un grande passo in avanti.

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