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L’Europa continua a rimanere spaccata sul gas russo. Lunedì 16 giugno l’Ungheria e la Slovacchia hanno bloccato l’adozione di un testo che delineava la strategia per eliminare progressivamente la dipendenza dal gas naturale e dal petrolio russo. Al centro del dissenso, la proposta della Commissione europea di vietare le importazioni di gas e gas naturale liquefatto dalla Russia entro la fine del 2027. La bozza, non formalmente vincolante, è stata definita dalla presidenza polacca del Consiglio Ue come una “proposta ambiziosa”, volta a raccogliere le opinioni dei Paesi membri. Nonostante l’opposizione di Budapest e Bratislava, la Commissione intende comunque procedere: oggi verrà presentata una proposta legislativa che potrebbe essere approvata a maggioranza qualificata, bypassando il veto dei due Stati membri.

“La sicurezza energetica dell’Europa dipende dalla sua sovranità”, ha dichiarato Paulina Hennig-Kloska, ministra polacca per il Clima e l’Ambiente, sottolineando la necessità di diversificare le fonti, rafforzare le infrastrutture e investire nelle rinnovabili. Di segno opposto le parole del ministro ungherese degli Esteri Péter Szijjártó: “La politica energetica è competenza nazionale. Il piano mette a rischio la nostra sovranità e sicurezza energetica. Con l’escalation in Medio Oriente, abbiamo proposto di non presentare alcuna iniziativa di questo tipo”.

Tra le misure in cantiere figura il divieto di nuovi contratti energetici con la Russia e la cessazione di quelli esistenti entro due anni, indipendentemente dall’esito dei negoziati di pace. Il provvedimento, basato sul diritto commerciale piuttosto che sul regime delle sanzioni (che richiede l’unanimità e va rinnovato ogni sei mesi), dovrebbe garantire maggiore stabilità giuridica. Parallelamente, Bruxelles intende vietare l’uso dei gasdotti Nord Stream, misura sostenuta dal cancelliere tedesco Friedrich Merz per scongiurare tentazioni interne di tornare al gas a basso costo russo.

Dal 2021, l’Ue ha ridotto significativamente la sua dipendenza energetica da Mosca: le importazioni di gas russo sono passate dal 45% al 19% nel 2024, e potrebbero calare al 13% nel 2025, mentre quelle di greggio sono scese dal 27% nel 2022 al 3% nel 2024. Tuttavia, le forniture russe di gas e petrolio (ma anche di materiali nucleari) non si sono mai completamente interrotte.

Nello stesso giorno in cui Ungheria e Slovacchia mostravano il loro (prevedibile) dissenso verso gli sforzi di sganciamento dalla Russia nel settore energetico, anche un altro Paese europeo ha assunto una posizione più “flessibile”: pur non dichiarandosi contraria alla proposta, l’Austria (per bocca della sottosegretaria all’energia Elisabeth Zehetner) ha infatti avvertito che l’Ue debba lasciare aperta la possibilità di riprendere le importazioni di gas russo nel caso venga raggiunto un accordo di pace con Mosca. Una posizione ribadita oggi al Financial Times dal ministero austriaco a cui fa capo Zehetner: “Bruxelles deve mantenere l’opzione di riesaminare la situazione una volta finita la guerra”.

È la prima volta dal 2022 che un Paese dell’Ue (esclusi, ovviamente Ungheria e Slovacchia) ipotizza esplicitamente un ritorno al gas russo. Il commissario europeo all’Energia Dan Jørgensen ha però ribadito che un eventuale accordo di pace “non deve portarci a ricominciare a importare gas russo”, il che sarebbe anzi “un grave errore” che finirebbe col rifinanziare la macchina bellica del Cremlino.

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