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A me non piace strumentalizzare le parole che una persona (magari con un orientamento diverso dal mio) pronuncia in diretta televisiva. A volte, è il ritmo dei dibattiti in quelle fumerie d’oppio che sono divenuti i talk show a non consentire ai partecipanti di cercare e pronunciare la parola e la frase giusta, tanto che finiscono per esprimere un’opinione “politicamente scorretta”. Il fatto è che in questi casi quello che emerge è l’effettivo pensiero dell’interlocutore sul tema specifico in discussione.

Io seguo raramente le performance politiche televisive; mi capita però di non alzarmi nel momento in cui termina il telegiornale e di fermarmi a vedere per qualche minuto le rubriche che seguono. Qualche sera fa mi ha incuriosito la conduzione di 8 e mezzo da parte di Giovanni Floris in sostituzione della titolare della rubrica, indisposta. Tra i presenti Italo Bocchino, nel ruolo di avvocato di ufficio della destra al governo, e Corrado Augias, anziano finedicitore che ha trovato una nuova vita da esule volontario dalla Rai occupata (ma ne sono capaci?) dalla destra. Si parlava di Donald Trump e Augias esprimeva una serie di preoccupazioni sensate e condivisibili. Ma, quando Italo Bocchino gli ha fatto notare che The Donald era stato scelto dagli elettori americani con un discreto margine, e che gli stessi elettori tra 4 anni sarebbero stati liberi di non votarlo più, Augias non ha fatto una piega e ha replicato: “Se sbagli non ti voto più? Bello da dire, più difficile a farsi. Perché gli strumenti fulminei di indirizzo dell’opinione pubblica sono tali che il diritto di voto ormai da solo non vale tutta la democrazia. Deve essere accompagnato da una sufficiente possibilità di corretta informazione su come vanno le cose”.

Queste considerazioni mi hanno colpito. Nei giorni seguenti ho notato che avevano sollevato delle critiche in diverse sedi per gli stessi motivi che avevano attirato la mia attenzione. Volendo fare i pignoli si può trovare nelle parole di Augias una critica al suffragio universale, ora fortemente condizionato dalle nuove tecnologie comunicative e ferito dal crescente astensionismo. Trent’anni fa il consenso per Silvio Berlusconi veniva attribuito alle sue tv commerciali che intossicavano l’opinione pubblica, tanto che per alcuni anni l’ossessione della sinistra fu quella del cosiddetto conflitto di interessi che la indusse a promuovere un referendum abrogativo sull’impiego della pubblicità nei film con lo slogan del “non si interrompe un’emozione”.

Da allora, l’elettorato di centro destra – come in precedenza quello della Dc – quando non veniva ricondotto alla contiguità con le organizzazioni mafiose, era sempre considerato composto da ceti meno qualificati della società, legati ad un passato di pregiudizi e incapaci di solidarietà e propensi a comportamenti elusivi delle buone regole del vivere civile. Oggi quel piccolo mondo antico del tubo catodico scompare di fronte al salto compiuto dalle nuove tecnologie del web e alla loro capacità di sabotaggio e di penetrazione in tutti gli aspetti della vita quotidiana delle persone condizionandone le scelte più importanti, persino l’uso dei diritti politici essenziali in una democrazia.

Ma come lo era nella Prima Repubblica nei confronti della Dc, come si è ripetuto nelle Seconda con il fenomeno Berlusconi, come avviene adesso nei confronti della maggioranza di destra e della leadership di Giorgia Meloni la sinistra non riesce a capacitarsi di come tramonti la sua egemonia culturale e politica in tutto l’Occidente e si rifugia in una sorta di giudizio etico nei confronti dei nuovi avversari come se usurpassero il potere per il semplice motivo che, per tante ragioni, non ne sono degni: o perché non si sono purgati dei peccati originali (per cui in Italia si pretende di fare oggi quei conti col fascismo che non si fecero 80 anni or sono) oppure perché si contesta quello che a sinistra è considerato un indiscutibile approdo verso il “politicamente corretto”. Si prenda il caso dei cosiddetti diritti civili, inquinato dalla (sub)cultura woke. Quando Trump afferma che in America d’ora in poi ci saranno solo “maschi” e “femmine” viola i diritti civili oppure rimette a posto le cose nella biologia? Il “nuovo” diritto civile consiste nell’esprimere le proprie attitudini sessuali liberamente in un contesto di uguaglianza e senza discriminazioni come è avvenuto nel corso dei secoli, fino a poter contrarre unioni di contenuto giuridico. Ma non gli può essere consentito di demolire il principale fondamento del diritto naturale rendendo il sesso un optional e una banale registrazione burocratica all’atto della nascita.

Gli establishment woke hanno gestito la dottrina del gender in modo autoritario, mettendo al bando chiunque non vi si sottomettesse, nella convinzione che queste convinzioni rappresentassero un progresso per l’umanità senza rendersi conto degli abusi genetici di cui si rendevano responsabili e senza consentire l’espressione di convinzioni diverse regolarmente etichettate manifestazioni di omofobia. Ad aver destabilizzato la sinistra è stata la pretesa di un  “politicamente corretto” come nuova ideologia totalitaria che ha sostituito quelle travolte dalla storia. Ma è molto più facile chiamare alla “rivolta sociale” contro chi non ha il diritto di governare, piuttosto che andare alla ricerca dei motivi di una sconfitta. Anche perché le prime riflessioni timidamente autocritiche stanno andando in una direzione sbagliata.

La sinistra si autoaccusa di non aver saputo tutelare le classi sociali messe in crisi dai grandi processi della globalizzazione dell’economia. E di aver lasciato questo ruolo alla destra. Non si accorgono che questa è la critica che rivolge loro la destra né si rendono conto che i problemi non si risolvono tornando a competere su politiche sbagliate. J.D. Vance il vice presidente e “homo novus” dei repubblicani, ha capito e descritto nel suo best seller (Elegia Americana) il disagio di una middle class bianca, che si sente priva di tutele, schiacciata tra gli effetti della globalizzazione sulla loro condizione economica e sociale, mentre le minoranze grazie all’ascensore sociale dei diritti civili sono entrate a far parte dell’establishment, e l’immigrazione contende loro persino il lavoro povero. Vance ha intuito ed afferrato una condizione di malessere che spiega anche le svolte a destra delle classi lavoratici europee, ha rimesso in bella copia i deliri trumpuani e potrebbe avere la statura necessaria per una leadership di restaurazione sul versante internazionale. Il suo non è un linguaggio che comunica solo con la destra; ma è lo stesso di una certa sinistra che sta prendendo piede in Europa. Vance non parla solo come Marine Le Pen, ma anche come Jean-Luc Mélenchon e Maurizio Landini. Ambedue i conducator della nuova sinistra difendono quei settori di popolazione che sono stati sconfitti dalla storia, che vedono venir meno uno status economico e sociale e messi in discussione diritti e condizioni di lavoro e di vita.

La nuova destra e la nuova sinistra – che per fortuna in Europa fino ad ora hanno perduto – si danno la mano contro la globalizzazione, la società aperta, la libertà del commercio, dei capitali e delle persone. Per di più coltivano posizioni ambigue sul versante della politica internazionale, molto simili a quelle di Trump. La tradizionale contrapposizione capitale/lavoro sul piano economico, destra/sinistra su quello politico, non coincidono più con quella di conservazione/innovazione.

Il compito della sinistra oggi è quello di unificare e rappresentare un blocco di forze dell’impresa, del lavoro, della ricerca e della cultura, che siano innovative, cosmopolite, aperte alle nuove tecnologie, competenti e competitive, assicurando loro l’eguaglianza delle opportunità, ma premiando la loro capacità di crescere grazie alla tutela garantita dalla loro professionalità. È una selezione da compiere con il bisturi o il cacciavite all’interno dei diversi corpi sociali, non con l’accetta che spacca in due parti società entrambe colluse con il virus della conservazione, ma nello stesso tempo aperte a un messaggio di cambiamento.

La società del merito, delle responsabilità e dei doveri non è estranea né insensibile a quella dei bisogni. Ma non concede nulla alla devianza del “dirittismo” (copyright di Alessandro Barbano) perché una società giusta non può essere una notte in cui tutte le vacche sono nere. Gli esseri umani “sono creati uguali”, ma fanno fruttare diversamente i talenti ricevuti. In Italia la sinistra non è in crisi perché la destra le ha rubato il mestiere e la base elettorale (a parte il fatto che nessuno si domanda il perché). La vera innovazione nella politica del governo Meloni sta nella sua continuità con quella del governo Draghi, mentre la sinistra la sta ripudiando, per inseguire la dottrina Landini della rivolta sociale.

La sinistra è in crisi perché non si fa le domande giuste. Scrive Cazzola

In Italia la sinistra non è in crisi perché la destra le ha rubato il mestiere e la base elettorale. La vera innovazione nella politica del governo Meloni sta nella sua continuità con quella del governo Draghi, mentre la sinistra la sta ripudiando, per inseguire la dottrina Landini della rivolta sociale. Il commento di Giuliano Cazzola

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