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Huawei non esclude una quotazione nel mercato di borsa. È quanto emerge da una lettera ai dipendenti firmata da Ren Zhengfei, il fondatore del colosso cinese leader del 5G, venuta a galla poche ore prima della pubblicazione dei dati del primo trimestre 2021 in cui l’azienda ha fatto segnare -16,5% sul fatturato.

Il South China Morning Post ha rivelato l’esistenza della lettera e racconta come i pensieri del manager siano “stati consegnati ai 170.000 dipendenti e alle attività dell’azienda in 170 Paesi nel suo tipico stile, con molti riferimenti militari e storici”. “Se una delle nostre attività entra gradualmente nel mercato dei capitali in futuro, falsificare i bilanci conti potrebbe non essere una questione disciplinare, ma legale”, si legge nella missiva.

Parole da cui si traggono due elementi: oltre l’avvertimento ai dipendenti, la novità rappresentata dalla possibilità di quotare l’azienda, ipotesi che il fondatore aveva sempre respinto. Proprio la differenza rispetto alle dichiarazioni precedenti ha acceso l’attenzione nonostante l’azienda non abbia fornito ulteriori dettagli sui progetti.

La lettera è datata 30 marzo, ossia il giorno prima della pubblicazione del rapporto 2020 di Huawei, che racconta come l’anno scorso l’azienda abbia registrato la crescita del fatturato più lenta nel decennio nonostante il potente traino del mercato cinese interno. È un documento storico a suo modo, come notavamo su Formiche.net analizzando gli effetti del primo anno completo dalla firma dell’executive order con cui nel maggio del 2019 l’allora presidente statunitense Donald Trump aveva bandito dall’infrastruttura 5G del Paese la società cinese (accusata di spionaggio per conto del governo cinese dall’intelligence americano così come dal Copasir in Italia).

Ma la frenata della crescita di fatturato non è l’unico elemento che fotografa le difficoltà del gigante cinese. Recentemente ha chiuso la divisione cloud e intelligenza artificiale dopo soli 14 mesi di attività: il futuro della unit è ancora tutto da scrivere, come dichiarato recentemente dai vertici aziendali, e la situazione sta suscitando interesse e preoccupazione anche in Europa vista la partecipazione del gruppo nel progetto Gaia-X. A novembre, inoltre, Huawei ha deciso di cedere il marchio Honor, riducendo ancor di più le quote di mercato. Pesano inevitabilmente le tensioni geopolitiche tra Cina e Stati Uniti, come spiegato su Formiche.net.

Ma neppure il 2021 sembra essere partito con il piede giusto. Huawei ha annunciato oggi che le entrate del primo trimestre sono crollate proprio alla luce della decisione sul marchio di smartphone low-cost. Il fatturato è risultato in calo del 16,5% annuo, attestandosi attestato a 152,2 miliardi di yuan (19,4 miliardi di euro). “Il 2021 sarà un altro anno difficile” per Huawei, ha avvertito in un comunicato il presidente del gruppo Eric Xu. “Qualunque siano le sfide che dobbiamo affrontare, rimarremo resilienti. Non solo per sopravvivere, ma per durare”, ha promesso Xu.

Dichiarazioni che ricordano quanto su queste pagine scrivevamo dopo aver sfogliato il rapporto 2020 di Huawei (che fu commentato anche da Wilson Wang, che da gennaio è amministratore delegato di Huawei Italia, in un’intervista al Sole 24 Ore in cui diceva che “l’Italia è strategica per Huawei”). 

Speriamo ci perdonerà dunque il lettore se ripubblichiamo le nostre conclusioni che risultano attuali in questi giorni in cui gli Stati membri dell’Unione europea presentano i loro piani d’investimento, in cui la digitalizzazione ha un ruolo centrale (e dunque ingenti risorse destinate).

Ma il rapporto è un messaggio chiaro, una prova di forza: il 5G in Cina va a gonfie veloce, la società resiste – quelli bravi di questi tempi parlano di resilienza – e Huawei può prepararsi a rivendicarlo.

La palla è nel campo dell’Occidente, dell’Europa in particolare, che intanto sta mettendo dei paletti alle società cinesi: a livello industriale non può che svegliarsi, far correre veramente le aziende europee, attirare investimenti dagli Stati Uniti. Altrimenti non resterà che una soluzione: cedere alla narrazione cinese, pronta a tutto per dimostrare all’Occidente che tenere fuori le sue aziende è un costo.

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