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Un fisco nuovo, a prova di pandemia e formato Europa. Anzi, mondo. Se c’è un’eredità della peggior crisi socio-economica dalla fine della seconda guerra mondiale, è la necessità di ripensare equilibri e sistemi fiscali per una “tassazione aggiornata dal XXI secolo”, tanto per dirla con le parole del commissario all’Economia Paolo Gentiloni, e magari un po’ più vigile sui fatturati e profitti delle multinazionali  Sì, perché proprio da Bruxelles è partita l’operazione per un riassetto tributario su scala continentale: contrasto alle società di comodo, pubblicazione delle aliquote fiscali reali delle multinazionali che operano in Ue, digital tax sui colossi della rete e revisione della Direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici e la tassazione del carbonio alla frontiera.

Onda lunga di quella minimum corporate tax (un’imposta del 21% sui profitti delle multinazionali applicata nel luogo fisico dove li generano, sostenuta oggi da un editoriale di Romano Prodi e Vincenzo Visco) che il presidente americano Joe Biden e il segretario al Tesoro Janet Yellen stanno cercando di imporre in ambito Ocse, con buone probabilità di riuscirci. Tutto giusto, spiega a Formiche.net Alberto Quadrio Curzio, economista e docente alla Cattolica di Milano e presidente emerito dell’Accademia dei Lincei.

In Ue è partita una rivoluzione fiscale figlia della pandemia. Che lettura si sente di dare?

Questa accelerazione è un molto importante e positiva, e la dobbiamo soprattutto all’azione di Gentiloni. Certamente c’è una spinta che arriva dall’America per una tassa globale sui profitti delle multinazionali, ma il progetto europeo ha due profili innovativi. L’equità, grazie alla tassazione nel luogo in cui si generano effettivamente i profitti e non nei luoghi della sede legale, dove nulla si crea. E poi la riconfigurazione del bilancio europeo.

Può spiegarsi meglio?

Il bilancio comunitario ha bisogno di entrate proprie e non basate esclusivamente sulla contribuzione degli Stati membri. Grazie alla nuova fiscalità disegnata dalla Commissione europea l’Ue potrà contare su entrate dirette e proprie, che non transitano per gli Stati. Si tratta di un salto di qualità non banale, perché si crea finalmente un vero bilancio comunitario, con entrate maggiori rispetto a prima e di esclusiva competenza dell’Ue. Questo ha due vantaggi annessi.

Sarebbero?

Tanto per cominciare, più entrate e senza passare per gli Stati membri vuol dire più risorse e dunque possibilità di replicare in futuro il Recovery Fund. E poi si possono pagare gli interessi sugli eurobond: non dimentichiamoci mai che per finanziare il Next Generation l’Ue emette debito e il debito ha un costo. Gli interessi sul debito si pagherebbero con entrate proprie e non più con i contributi dei Paesi membri. Per tutti questi motivi, il riassetto fiscale di cui stiamo parlando è estremamente importante. E questo lo dobbiamo a Paolo Gentiloni e Thierry Breton (commissario al mercato interno, ndr), che hanno allargato i ragionamenti europei ben oltre il ripristino del Fiscal Compact, a una politica economica visionaria.

A monte della riforma fiscale europea c’è con ogni probabilità la minimum corporate tax il cui principale sponsor sono gli Stati Uniti

Condivido pienamente l’idea di una minimum tax. Tuttavia credo che sia molto importante sottolineare una criticità e cioè la contestualizzazione della tassa. La tassa da far pagare nel luogo dove si generano i profitti dovrebbe essere calibrata in base alle imposte già presenti in loco. Evitando forme di sovrapposizione fiscale.

Parliamo dell’inflazione. Abbiamo assistito alla fiammata negli Usa, con conseguente rafforzamento dell’ipotesi di una stretta monetaria da parte della Fed. Corriamo seri rischi anche in Europa?

Un aumento dei prezzi, se la domanda riparte, è inevitabile. Però da qui a parlare di fenomeno inflazionistico ce ne corre. Io credo che l’attenzione vada alle materie prime, i cui prezzi stanno aumentando e anche ai semiconduttori, la cui scarsità in Ue si è scontrata con la forte domanda innescata dalla progressiva digitalizzazione dei sistemi e delle amministrazioni, facendo aumentare i prezzi. Questo mi induce nuovamente a ribadire la necessità di un’autonomia industriale dell’Europa.

Parla di dotarsi di imprese europee del tutto slegate da mercati terzi?

Esattamente questo. Ci sono settori su cui l’Europa deve essere autonoma, con proprie imprese e proprie realtà industriali. Lo abbiamo visto con i vaccini, spero che abbiamo imparato la lezione. Adesso è tempo di imprese europee indipendenti nella componentistica e nei semi-conduttori. Abbiamo bisogno di produrceli da noi i semiconduttori. Un mercato da mezzo miliardo di persone ha bisogno di imprese adatte a un mercato da mezzo miliardo di persone.

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Intervista all’economista e presidente emerito dell’Accademia dei Lincei: la riforma fiscale in Europa è sacrosanta perché ci permetterà di avere un vero bilancio comunitario e di pagare gli interessi sugli eurobond. E poi è un ritorno all’equità, un po’ come la minimum tax voluta dagli Usa. Ma sui semi-conduttori l’Europa è indietro e deve dotarsi di una filiera propria

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