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Arduo – diceva Oscar Wilde – fare previsioni se riguardano il futuro. Anche quello a breve scadenza come la legge di bilancio i cui documenti preparatori, come la Nota d’Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (Nadef) è in fase di confezione. Soprattutto se trattano un tema così divisivo e così emotivo come le pensioni.

Come indicato su questa testata il 4 settembre, l’opinione corrente era che questa legge di Bilancio non avrebbe sfiorato materie ordinamentali e, quindi, non avrebbe trattato di pensioni. In particolare, sarebbe sparita “Quota 100” e sarebbe stato cancellato, dopo l’ennesima sentenza della Corte Costituzionale, quel “contributo di solidarietà” che grava su 25.000 pensionati, porta poco o nulla alle casse dell’Inps, ed è stato più volte contestato giuridicamente.

Ora la situazione pare stia cambiando. Soprattutto in materia di “Quota 100”. È stata presentata una proposta di legge parlamentare per estendere la misura per i soggetti che svolgono lavori “usuranti”, applicando però il metodo “contributivo”, non quello “misto” tra “retributivo” e “contributivo” a cui molti avrebbero probabilmente diritto. Quindi, con una forte penalizzazione, tale da scoraggiare molto dei potenziali richiedenti. In vista delle imminenti elezioni amministrativi, ciò renderebbe numerosi potenziali aspiranti al beneficio che non leggono i dettagli della proposta al tempo stesso contenti e canzonati. Inoltre da Via Venti Settembre spiffera l’informazione sulla creazione di un “fondo per il prepensionamento” per coloro che dal 2022 al 2025 avrebbero i requisiti richiesti per “Quota 100”. Altra idea fatta uscire da qualche vice ministro o sottosegretario nelle settimane precedenti le elezioni. Probabilmente, un politico poco esperto della complicata materia, perché è difficile capire come il nuovo strumento si armonizzerebbe con quelli esistenti e se non sarebbe il caso di potenziare, se necessario, questi ultimi invece di tirarne fuori uno nuovo da sbandierare alla vigilia delle elezioni amministrative.

Altri sussurri e grida vengono dal ministero del Lavoro. Il titolare del dicastero, Andrea Orlando, ha tentato senza successo di intitolarsi una riforma degli ammortizzatori sociali. Ora penserebbe ad una riforma delle pensioni. Se ce ne è una intitolata a Lamberto Dini e una ad Elsa Fornero, perché non lasciarne ai posteri una con il suo nome? La Fondazione Anna Kuliscioff ha appena pubblicato un breve ma interessante studio sulle tensioni tra la triplice sindacale e il governo (dopo la crisi della riforma degli ammortizzatori sociali) che potrebbero essere appianate da un eventuale coinvolgimento in una possibile riforma delle pensioni.

Tuttavia, quando si guardano, anche di sfuggita, i numeri la riforma appare complicata assai e non certo “elettoralmente appetibile”. I dati Ocse, rilanciati in questi giorni da una nota dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani non sono confortanti: l’Italia è tra i primi Paesi al mondo per speranza di vita alla nascita e aspettativa di vita residua ai 65 anni. Per questo, i requisiti anagrafici per il raggiungimento della pensione di vecchiaia sono in teoria tra i più alti nell’area Ocse. In pratica, a causa di agevolazioni e anticipazioni, l’età effettiva di pensionamento per gli italiani non solo è inferiore rispetto ai requisiti richiesti dalla legge, ma è anche più bassa rispetto alla media internazionale. Questo fa sì che la durata attesa del trattamento pensionistico sia tra le più alte fra i Paesi sviluppati.

L’Italia occupa le prime posizioni tra i Paesi sviluppati per età di pensionamento statutaria, con requisiti ben superiori rispetto alle medie Ocse (64,3 anni per gli uomini e 63,5 anni per le donne). Un’elevata età di pensionamento statutaria è giustificata dal fatto che l’Italia presenta un’aspettativa di vita tra le più alte al mondo: 85,4 anni per le donne e 81 anni per gli uomini alla nascita (al quinto posto tra i Paesi più sviluppati e di conseguenza al mondo); e un’aspettativa di vita residua a 65 anni di 22,4 anni se donna e 19,2 anni se uomo. Queste ultime sono più alte della media dei Paesi dell’Ue (21,2 anni per le donne e 17,8 per gli uomini).

Tuttavia, l’età effettiva di pensionamento differisce dall’età di pensionamento statutaria a causa di agevolazioni o scivoli. Nel periodo 2013-2018, l’età di pensionamento effettiva in Italia era di 63,3 anni per gli uomini e 61,5 anni per le donne L’Italia si trova agli ultimi posti tra gli Stati sviluppati, le cui età reali di uscita dal pensionamento sono 65,4 e 63,7 anni in media, rispettivamente per gli uomini e le donne. Francia, Grecia e Spagna presentano un quadro più fosco del nostro. Ma non bisogna esserne orgogliosi.

In breve, le pensioni sono un filo elettrico scoperto. E chi le tocca rischia di prendere la scossa se non peggio.

Vie d’uscita dal labirinto pensionistico ci sono. Ma richiedono tempo e meditazione per mettere a punto un sistema simile a quello di altri Paesi: a) uno zoccolo duro finanziato dalla fiscalità generale (al posto di cose come il cosiddetto “reddito di cittadinanza”; b) uno zoccolo collegato alla retribuzione ed ai contributi effettivamente versati; c) fondi pensione fortemente incentivati (e non tartassati come propongono colleghi di partito del ministro Orlando).

Andrea Orlando si metta l’animo in pace. Non sono tempi di riforme delle pensioni a lui intitolate.

 

Caro Orlando, non è tempo di riforma delle pensioni

Le pensioni sono un filo elettrico scoperto. E chi le tocca rischia di prendere la scossa se non peggio. Vie d’uscita dal labirinto pensionistico ci sono. Ma richiedono tempo e meditazione per mettere a punto un sistema simile a quello di altri Paesi. Il commento di Giuseppe Pennisi

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