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Senza gli Usa la Turchia si troverebbe in una posizione ancora più debole verso la Russia. Lo dice a Formiche.net l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, già capo di Stato maggiore della Marina Militare dal 2013 al 2016, che analizza il G7 di Londra anche in chiave mediterranea, dossier in cui spicca secondo la sua opinione l’assenza di Ue e Italia (“In tribuna, in attesa del risultato. Con un leader come Mario Draghi le cose potrebbero cambiare. Se non ora quando?).

Il G7 di Londra è l’ultima occasione per sanare le criticità sull’asse Ankara-Washington?

Il progetto neo ottomano di Erdogan ha senza dubbio creato criticità con Washington. La Turchia con Trump ha preso a muoversi con eccessiva baldanza, allargando la propria sfera di influenza nel Mediterraneo Centrale (Libia), nei Balcani, nel Medio Oriente, nel Mar Rosso (Somalia) e nel Golfo Persico, generando inevitabilmente attriti con la Francia, l’Italia e la Grecia. Per ottenere risultati concreti sul terreno ha stretto accordi con la Russia, per spartirsi la Siria e la Libia in aree d’influenza, su base di non ingerenza/interferenza reciproca.

In Libia, ad esempio, la Turchia si è presa la Tripolitania e la Russia la Cirenaica. Questo modus operandi non è stato certamente gradito da parte degli Usa in quanto ha agevolato il ritorno della Russia in Mediterraneo con basi in Siria e prossimamente in Libia. Detto questo, la posizione strategica della Turchia rende inevitabile per gli Usa agire per mantenerla nel proprio campo. D’altra parte, senza la tutela americana, Erdogan sarebbe più debole nel rapporto con la Russia e non solo. America e Turchia hanno reciproci interessi. Trovare un’intesa seria e duratura non è facoltativo. Penso Erdogan ne sia consapevole. Il G7 sarà quindi un momento importante, ma non sarà l’ultima occasione per ritrovare la tradizionale armonia fra i due alleati. La complessità degli interessi e delle forze in gioco fanno prevedere un processo laborioso a più livelli che si muoveranno in modo incrementale in chiave sia militare sia economica.

La doppia clava del genocidio armeno e degli S-400 verrà usata dagli Usa fino in fondo, oppure si attende una mossa tattica da parte turca, visti e considerati i dossier connessi, come Libia, Siria, Afghanistan?

Il primo passo americano è stato di chiedere a Erdogan di far rientrare in Siria i suoi mercenari siriani e di contrastare la presenza russa in Libia. Una richiesta piuttosto dura, che mira a creare difficoltà fra la Turchia e la Russia, a dimostrazione di un Presidente USA per nulla intimidito da Erdogan, che sembra dovrà riguadagnarsi la fiducia dell’alleato americano con azioni concrete. E l’Afghanistan costituisce senza dubbio un dossier importante nel rapporto fra le due potenze e un’altra prova di lealtà che Erdogan sarà chiamato a dare a Biden.

La Bulgaria ha annunciato l’espulsione di un diplomatico russo, ma è solo l’ennesimo atto di una partita a scacchi. Come l’escalation fra Stati Uniti e Russia si riflette plasticamente sul quadro europeo?

L’allagamento della Nato a nazioni dell’area che Yalta aveva assegnato all’Unione Sovietica è stata vissuta come un’umiliazione gravissima da parte di Putin, che non ha mai fatto mistero di voler riportare le ex Repubbliche socialiste e le Nazioni dell’ex Patto di Varsavia nuovamente nella sfera della madre Russia. Di conseguenza Mosca continuerà a condurre tutte le azioni ritenute necessarie per destabilizzare l’Europa orientale a favore di una maggiore influenza russa.

Il presidente della Macedonia del Nord, Stevo Pendarovski, pur non nominando esplicitamente Cina e Russia, lascia intendere la loro regia dietro questa nuova mossa sui Balcani e ha detto che “quando sei assente, il vuoto strategico sarà riempito da qualcun altro”. L’allargamento Ue nei Balcani cosa rischia?

Nei Balcani si muovono oggi molte nazioni. Dalla Russia, alla Germania, alla Turchia, alla Grecia, all’Arabia Saudita, al Qatar, alla Cina (in Montenegro). Più che di un vuoto parlerei di un coacervo di forze fra loro in competizione che genera instabilità e frizioni. Direi che manca del tutto l’influenza italiana, ma questa non è più una novità.

Per la prima volta tra qualche giorno lavoreranno assieme nel Mediterraneo la portaerei britannica “Queen Elizabeth” e la francese “Charles de Gaulle”. Anche al fine di mostrare i muscoli alla Turchia?

Si tratta di un impiego tradizionale delle flotte militari mirato a mostrare presenza, forza e coesione fra alleati. E’ una significativa riaffermazione del ruolo delle Marine in politica estera anche mediante il dispiegamento di Gruppi Navali centrati su Portaerei in mari vicini e lontani dalla Madrepatria. Un monito per potenziali avversari e una mano tesa per i Paesi amici. Un segnale anche per la Turchia. Ma la missione più importante che ritengo condurrà la Task Force Britannica sarà quella di “battere bandiera” nel Mar della Cina a fianco dell’alleato americano. L’iniziativa Franco Britannica mette tuttavia in luce anche un altro aspetto. L’assenza della Marina Italiana da questa operazione congiunta in Mediterraneo. Dovrebbe essere un motivo di riflessione critica da parte della nostra classe dirigente militare e soprattutto politica.

Mentre il resto delle nazioni riscopre l’importanza delle Marine, noi continuiamo ad assistere passivamente alla riduzione progressiva dei mezzi e della consistenza del personale della nostra Marina Militare. Oggi la più piccola e meno finanziata fra le tre Forze Armate, nonostante il cambio dello scenario e l’evidenza della peculiare importanza del Mare per l’Italia richiederebbero scelte di segno totalmente opposto.

Alla voce gas si sta plasmando un nuovo ordine regionale: Atene e Paesi del Golfo, sotto la spinta Usa, stanno rafforzando la partnership geopolitica mentre la Francia si conferma primo partner militare per l’Egitto. Sta cambiando lo scenario nel quadrante Mediterraneo?

Sì, il Mediterraneo sta tornando a essere una area di cerniera fra mondi e sfere di influenza in evoluzione anche per quanto riguarda il controllo degli immensi giacimenti di gas naturale che si stanno via via scoprendo nei fondali del “nostro mare”. Grecia, Israele ed Egitto si muovono in chiave di contenimento dell’espansionismo turco. La Francia cerca di affermare la sua primazia in chiave anti turca, ma alla fine a spese soprattutto degli interessi italiani in Libia. Grande assente nel “gioco” mediterraneo, come da prassi consolidata, la Ue. E l’Italia? In tribuna, in attesa del risultato. Con un leader come Mario Draghi le cose potrebbero cambiare. Se non ora quando?

Attento Erdogan, senza Usa la Russia ti schiaccia. L'avvertimento di De Giorgi

Intervista all’ammiraglio, già capo di Stato maggiore della Marina Militare dal 2013 al 2016: “La posizione strategica della Turchia rende inevitabile per gli Usa agire per mantenerla nel proprio campo. Nei Balcani non c’è più l’influenza italiana”

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