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Dalle tecniche di eugenetica a utilizzare il genoma umano come un’arma, il passo è fin troppo breve. Specie se si ha sottomano un database genetico immenso. Un’investigazione di Reuters ha rivelato il nesso tra una multinazionale biomedicale cinese e l’Esercito popolare di liberazione cinese, assieme alla massiccia operazione di raccolta dati che secondo gli esperti potrebbe diventare un vantaggio strategico in un futuro prossimo.

Si tratta di BGI Genomics, azienda leader nel sequenziamento genetico che un ufficiale statunitense ha definito la “Huawei della genomica”. L’anno scorso è salita alla ribalta internazionale per aver venduto o donato milioni di kit di identificazione del Covid, oltre ad aver costruito 80 laboratori Covid in 30 Paesi. BGI è tra le poche compagnie al mondo in grado di offrire a un costo contenuto i test prenatali, utilizzati alla decima settimana di gravidanza per identificare anormalità genetiche nel feto.

La BGI era già nota alle autorità statunitensi, che a marzo avevano lanciato un avvertimento riguardo alla vasta banca dati in suo possesso e alla possibilità che un’analisi condotta da un’intelligenza artificiale avrebbe potuto fornire alla Cina un vantaggio economico e militare. Scavando tra le pubblicazioni scientifiche, i reporter di Reuters hanno scoperto che la BGI si avvale anche di quei test, finora utilizzati da 8 milioni di donne, per nutrire la propria banca dati.

Studiando un codice informatico di BGI, a Reuters hanno scoperto che i test prenatali catturano dettagli del genoma del feto come della madre, oltre a dettagli personali come Paese, altezza, peso. Quei dati, benché anonimizzati, sono oro; non solo possono essere utilizzati per risalire a più dettagli, ma forniscono la base per operazioni di correlazione e mappatura genetica su larga scala.

I dati provengono da dentro e fuori la Cina, e la legge cinese (nonché la privacy policy di BGI) prevede che le compagnie private possano (o debbano) condividere i dati con il governo per motivi di sicurezza nazionale. A scanso di equivoci, le autorità cinesi hanno dichiarato nel 2019 che i dati genetici rientrano a pieno diritto in quella categoria.

L’affare diventa ancor più minaccioso considerando che la BGI lavora con l’esercito cinese almeno dal 2010. I progetti noti trattano lo studio del genoma umano per trovare soluzioni alla perdita di udito (causata dall’addestramento con armi da fuoco) ma trattano anche della prevenzione di difetti congeniti e del “miglioramento della qualità della popolazione”, una frase comparsa in una conferenza del 2010 organizzata assieme a BGI nell’università medico-militare di Chongqing. Questa collaborazione ha prodotto anche uno studio sul contrasto al mal d’altitudine, ma mirato solo ai cinesi Han, il gruppo etnico più diffuso in Cina.

In un altro studio visto da Reuters, BGI ha utilizzato un supercomputer militare per analizzare i dati dei test prenatali e “mappare la prevalenza di virus nelle donne cinesi, cercare i segnali di malattia mentale, isolare le minoranze tibetane e uigure per trovare collegamenti tra i loro geni e le loro caratteristiche”. I ricercatori di BGI sono stati in grado di differenziare i geni associati alle etnie Han, uigure e tibetane (queste ultime due sono entrambe minoranze perseguitate), arrivando persino studiare i movimenti delle popolazioni e gli effetti dei matrimoni misti causati dalle politiche dei governi cinesi dal 1949 in poi.

Questi risultati sono poi stati pubblicati per evidenziare come variazioni “significativamente differenti” nel genoma degli uiguri impattano la loro risposta ai farmaci. Una buona base di partenza per creare farmaci più mirati, ma anche sfruttare eventuali vulnerabilità genetiche in una data popolazione – una preoccupazione che è espressa in un rapporto firmato da scienziati ed esperti e indirizzato al Direttore di intelligence nazionale statunitense.

Gli Stati Uniti hanno sanzionato due società sussidiarie della BGI, citando le pratiche cinesi di “schemi abusivi di raccolta e analisi del DNA finalizzati alla repressione dei cittadini”. BGI nega di aver violato diritti umani nello Xinjiang, e il ministero degli esteri di Pechino insiste che i controlli sanitari svolti nella regione a maggioranza uigura non prevedono la raccolta di dati biologici come il Dna. Del resto, però, sono anni che il regime cinese mente a denti stretti sui documentatissimi abusi nella regione.

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