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“Alla politica interna dò una A. Una B meno, invece, per la politica estera”. A cento giorni dal giuramento di Joe Biden come 46esimo presidente degli Stati Uniti, Ian Bremmer, presidente di Eurasia Group e politologo della Columbia University, dà le prime pagelle.

Bremmer, perché una B meno?

Ha avuto molti più successi in politica interna. Su q            uesto fronte sono stati davvero cento giorni eccezionali. Dalla distribuzione dei vaccini ai piani per la ripresa economica, tutta la legislazione è già passata e pronta. La politica estera su un piano più inclinato.

Cioè?

Biden si è trovato a fare i conti con un ordine mondiale molto diverso da quello che ha lasciato come vicepresidente. Alcune cose gli sono riuscite facili: il ritorno degli Stati Uniti negli accordi di Parigi, nell’Oms, i progressi, sia pur limitati, per un summit mondiale sul clima. Altre questioni sono in salita.

Quali?

I rapporti con la Russia, la Cina e l’Iran, nonostante gli sforzi per tornare all’accordo sul nucleare, sono molto peggiorati. Lo stesso vale per l’Europa: dopo l’assalto al Congresso del 6 gennaio, c’è una crisi di sfiducia che si fa strada e non è detto che Biden riesca a fermarla.

Dove sta incassando vittorie?

Finora, sul fronte asiatico. Ha rivitalizzato con successo i rapporti fra gli alleati del formato Quad, è riuscito ad avvicinare due Paesi storicamente diffidenti come Giappone e Corea del Sud. Non era scontato in tre mesi.

Biden ha promesso una politica estera “per la classe media”. Ci sta riuscendo?

Più che una promessa, la sua è una constatazione. L’americano medio non capisce perché gli Stati Uniti debbano spendere miliardi di dollari in missioni all’estero o farsi garanti della democrazia nel mondo. Una politica estera per la classe media significa una politica industriale più proattiva, investimenti nelle infrastrutture, l’impegno a far acquistare americano. Significa ritirarsi dall’Afghanistan: un successo sul piano interno, meno su quello diplomatico, con Francia e Germania preoccupate per un ritorno del radicalismo islamico.

I critici di Biden dicono che la sua politica estera è prevedibile, a differenza di quella di Trump, che grazie all’improvvisazione ha portato a casa alcuni successi diplomatici. È così?

Trump ha dimostrato al mondo che era disposto a utilizzare tutto il potere americano. Lo ha fatto in modo scostante, incoerente. Sì, ha incassato qualche vittoria, come l’accordo per il Nafta, l’intesa commerciale con la Corea del Sud, la repressione dell’immigrazione illegale dal Messico. Ma anche tanti fallimenti: Corea del Nord, Iran, Cina, Russia. Biden ha scelto un approccio più cauto, cerca la cooperazione con gli alleati.

Sta funzionando?

In alcuni casi sì, è riuscito a far parlare di clima Brasile di Bolsonaro. Altrove meno. Proporre un summit a Putin mentre ammassa truppe al confine ucraino non è stata una grande mossa, probabilmente è sembrato debole.

Come si sta muovendo nei confronti della Cina?

Con una certa continuità rispetto al suo predecessore. La Cina rimane in cima alle minacce alla sicurezza. Biden però cerca un approccio coordinato con gli alleati. Nel Pacifico con il Quad, in Europa con il dialogo sulle tecnologie emergenti e il clima. Senza dimenticare i diritti umani, come dimostra il round di sanzioni per la persecuzione degli uiguri o le sanzioni alla Russia per il caso Navalny.

A proposito, la Russia ha risposto anche all’Europa. Nel mirino anche il presidente del Parlamento Ue David Sassoli.

Non è usuale, ma bisogna avere bene in chiaro una cosa: quasi mai le sanzioni hanno un impatto dirompente sulle relazioni bilaterali. L’unico pacchetto di misure che ha davvero incrinato i rapporti è stato quello imposto dagli Stati Uniti su alti ufficiali del governo saudita per il caso Kashoggi. Sono altri i fattori che guidano la politica estera. In sei mesi l’America di Biden potrà esportare ovunque nel mondo i migliori vaccini anti Covid in circolazione. Questo è dirompente.

Chiudiamo con l’Europa. In che stato sono i rapporti bilaterali cento giorni dopo?

Presto per tirare le somme. Sicuramente i leader europei si sentono più a loro agio con Biden che con Trump. Macron rimane il più reticente. Ma Biden ha allentato non poco le tensioni. Penso al coordinamento sulle misure fiscali: la strada per una tassa minima unica sulle aziende è in salita, quella per una tassa sui servizi digitali invece promette bene.

Quale può essere l’imprevisto da attendersi i prossimi mesi?

Una grande crisi. Non ne abbiamo ancora vista una, non può durare a lungo.

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