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Undici anni di prigione. Micheal Spavor, uomo d’affari canadese arrestato nel dicembre del 2018 in Cina con l’accusa di spionaggio, ha ascoltato quasi impassibile la sentenza del Tribunale di Dandong, questa mattina. All’ambasciatore canadese a Pechino Dominic Barton ha fatto in tempo ad affidare un solo messaggio: “Voglio tornare a casa”.

Undici anni di detenzione è il primo conto presentato dal governo cinese al Canada per l’arresto, il 4 dicembre del 2018, della numero due di Huawei Meng Wanzhou, figlia del fondatore Ren Zhengfei. Ricercata da una corte di New York per frode con l’accusa di aver violato il sistema di sanzioni americane all’Iran, la vicepresidente della più grande compagnia tech cinese al mondo attende in questi giorni il verdetto della Giustizia canadese sulla sua estradizione negli Stati Uniti.

Il suo arresto tre anni fa a Vancouver ha innescato una serie di rappresaglie da parte della Città Proibita di cui la vicenda Spavor è solo un tassello. Il businessman canadese è stato preso in custodia sei giorni dopo il fermo in Canada di “Lady Huawei”. Insieme a lui in carcere è finito il connazionale Michael Kovrig, ricercatore dell’ong International Crisis Group.

Non si è fatta attendere la reazione del governo canadese alla notizia della condanna di Spavor questo mercoledì. Una decisione “assolutamente inaccettabile” ha tuonato il primo ministro Justin Trudeau chiedendo l’immediato rilascio del prigioniero. Gli ha fatto eco il governo americano con un duro comunicato del Dipartimento di Stato. Il segretario di Stato Antony Blinken ha espresso “profonda preoccupazione” per “la mancanza di trasparenza in queste procedure giudiziarie”.

Il processo di Spavor si è svolto interamente a porte chiuse, come per tutti i processi di spionaggio in Cina. Durante il periodo di detenzione né a Kovrig né a Spavor è stato concesso di comunicare con l’esterno. L’isolamento è stato tale che Spavor è venuto a sapere della pandemia del coronavirus soltanto nell’ottobre del 2020, ha riferito la moglie al New York Times.

Residente a Dandong, città che sorge lungo il fiume Yalu nella Cina settentrionale, il prigioniero canadese portava avanti da anni un’attività di consulenza con la Corea del Nord. Un Paese che conosce da tempo, complici i suoi studi in Corea del Sud e una perfetta conoscenza del dialetto. Sua, fra le altre cose, la mediazione per organizzare la visita dell’ex giocatore dell’Nba Dennis Rodman da Kim Jong-un. “Possiamo ancora sperare in un appello – ha riferito alla stampa l’ambasciatore canadese dopo la sentenza.

Una speranza che sembra invece vana nel caso di Robert Schellenberg, 36 anni, canadese anche lui, arrestato e condannato a morte da una corte cinese martedì con l’accusa di traffico di droga. Come nel caso ribattezzato dalla stampa canadese “dei due Micheal”, anche la vicenda di Schellenberg sembra intrecciata all’arresto di Meng a Vancouver. La sua condanna iniziale a 16 anni di carcere nel dicembre 2018 è stata in seguito convertita in una sentenza capitale che solo un improbabile intervento della Corte suprema cinese può ora ribaltare.

Ma i tre casi giudiziari sono solo una parte degli episodi che hanno portato a una crisi apparentemente irreversibile dei rapporti fra Cina e Canada. Da quando Meng è stata arrestata l’escalation non ha visto pause, su tutti i fronti, dalle reciproche sanzioni diplomatiche alla sospensione di accordi commerciali fino all’ipotesi, finora non concretizzata, di escludere Huawei dalle gare per il 5G canadese.

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