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Hanno fatto molta fatica i discepoli a convincere gli altri che Gesù fosse risorto: Maria di Magdala, Maria di Giacomo, Salòme, Giovanna, Pietro, Giovanni non hanno ricevuto credito immediato. Circolavano già molte voci tendenziose – “i suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato” (Mt 28) – ma soprattutto la testa e il cuore erano appesantiti. Tanti ostacoli da attraversare, tanti significati da scoprire, tante relazioni da ricucire, tanti dubbi da sciogliere. Troppo, veramente troppo per poter dire: “È risorto”. Allora come oggi: ostacoli diversi, ma stesse fatiche.

Nonostante i dubbi, i racconti della resurrezione contengono un ritmo di azione espresso con parole quali “di buon mattino o correre”. Maria di Magdala va di buon mattino, corre da Simon Pietro e anche questi corre, insieme a Giovanni, verso il sepolcro (Gv 20); le donne, poi, corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli” (Mt 28); “fuggirono via dal sepolcro” (Mc 16). È un correre che trova facilmente le sue spiegazioni: l’ansia di far visita alla tomba del Signore e, al tempo stesso, quasi di verificare la sua promessa di risurrezione. È una vicenda tanto importante e le donne e gli apostoli hanno fretta di sapere come va a finire, se è tutto come preannunciato o meno.

Da parte sua Gesù appare per confermare e inviare. La conferma di Gesù è senza fretta, anzi il Signore è li per togliere qualsiasi timore e paura. L’angelo dice alle donne: “Non abbiate paura, non temete… è risuscitato” (Mc 15). La realtà della risurrezione è annuncio di gioia, è realtà di vita e toglie ogni paura: la vita ha vinto la morte per sempre. Su questa serenità si innesta l’invio missionario: “Andate in Galilea” (Mc 16), dite ai suoi discepoli: “E’ risuscitato dai morti” (Mt 28).

La fretta, mista a paura e ansia, di rivedere il Signore come Risorto, l’essere da Lui tranquillizzati e poi inviati ad annunciarlo, credo abbia molto da dire anche a noi che non siamo testimoni oculari della sua risurrezione. A noi che abbiamo fretta di uscire da questa situazione di morte – fisica, emotiva, economica, sociale – che è la pandemia.

L’ansia e la fretta spesso vanno insieme, specie quando riguardano obbiettivi importanti della vita personale e sociale, in cui vogliamo vedere il bene trionfare subito e pienamente, magari tutti vaccinati e guariti… Quanta fretta abbiamo di arrivare al mattino di Pasqua, alcune volte vorremmo saltare soprattutto il dolore e la passione del venerdì. E la croce può essere piccola (come la mascherina o lo stare in casa o non assembrarci con scuse idiote) o grande come il dolore e il lavoro in un reparto Covid, o lo stipendio che manca. Non è solo “ogni cosa al suo tempo”, ma è ben di più: è responsabilità e disponibilità a pagare per il bene pubblico. La resurrezione è autentica solo se passa dalla croce, dai suoi piccoli e grandi sacrifici.

La risurrezione è prima di tutto una conferma emotiva: “Non abbiate paura, non temete… è risuscitato”. Le emozioni hanno il loro peso. E in questo caso sembrano avere più peso. credere che la vita vinca la morte, il bene sconfigga il male, la gioia debelli il dolore non è solo un fatto di testa. Si crede nel Risorto con tutto se stessi: corpo, mente e cuore. E spesso il cuore vacilla più della mente. “Non abbiate paura, non temete… è risuscitato”.

Gesù ci precede in Galilea. Non siamo soli, mai soli nell’annunciare il lieto evento della risurrezione. Ma cosa annunciamo? Una volta ho sentito dire in una parrocchia: “Annunciamo come il Signore ha trasformato la nostra vita, annunciamo la nostra esperienza di fede”. Ma che sciocchezza è questa? Annunciamo che il Signore è risorto! E la nostra vita? Certo, se l’evento ci ha toccato nel corpo, nel cuore e nella mente, ci trasforma eccome. Ma può anche essere che non ci abbia così trasformato; sarà per questo che non lo annunceremo? No lo annunceremo, sentendo tanta indegnità, ma l’annunceremo! Il Signore è risorto e ciò prescinde dalla mia coerenza. Grazie a Dio.

Ascoltando questi riduzionismi di fede, spesso mi ritorna in mente la canzone di Francesco Guccini “Dio è morto”, del 1965: fu ritenuta blasfema dalla Rai e subito censurata, ma trasmessa dalla Radio Vaticana. Contiene certamente molti principi evangelici: Dio muore in tutte le situazioni di emarginazione, di offesa della dignità umana, di droga e prostituzione, di ipocrisia e carrierismo, di miti della razza e odi di partito e così via. Ma risorge in tutto ciò che è bene, che edifica gli altri protegge il creato e canta l’inno della gloria di Dio. Ma è solo questa la risurrezione? Una sorta di applicazione personale e sociale? Credo proprio di no; tuttavia con questo non voglio assolutamente dire che la canzone non ha le sue profonde ragioni.

Penso, invece che il punto di partenza per meditare sulla risurrezione non siano le profonde considerazioni di Guccini, o altre simili, ma il semplice fatto di affermare che Gesù è risorto. Punto e basta. Per entrare nel mistero ci accompagnano segni concreti e significativi: la pietra rotolata, la tomba vuota, il sudario ripiegato, la testimonianza degli apostoli, le apparizioni di Gesù.

È risorto! Dovremmo ripeterci le cose più semplici ma più vere: la morte è stata sconfitta, la vicenda di Gesù non finisce con la croce, ora è presente in modo diverso, ci invia nel mondo a rendergli testimonianza, c’è ancora posto con la speranza. Dovremmo ricordarci che quello che “accade al Cristo, accade ad ognuno di noi” (Blaise Pascal). Dovremo meditare e rimeditare la risurrezione sintonizzando su di essa la nostra vita, nelle piccole come nelle grandi scelte, nella pandemia ancor di più.

E poi, ma solo dopo questi “esercizi”, ricordare con Guccini
“che se dio muore è per tre giorni e poi risorge,
in ciò che noi crediamo dio è risorto,
in ciò che noi vogliamo dio è risorto,
nel mondo che faremo dio è risorto…”.

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La croce può essere piccola (come la mascherina o lo stare in casa o non assembrarci) o grande come il dolore e il lavoro in un reparto Covid, o lo stipendio che manca. Non è solo “ogni cosa al suo tempo”, ma responsabilità e disponibilità a pagare per il bene pubblico. La resurrezione è autentica solo se passa dalla croce, dai suoi piccoli e grandi sacrifici

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