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Con le maggiori potenze impegnate in una corsa al cardiopalma per sviluppare e schierare assetti di sesta generazione, il Gcap si conferma come uno dei programmi militari di maggiore rilevanza attualmente in sviluppo in Europa. A maggior ragione, con la sospensione temporanea dell’Ngad statunitense e i dubbi sullo stato dell’Fcas (il progetto congiunto tra Francia, Germania e Spagna), il programma anglo-italo-nipponico si distingue per la sollecitudine, tanto istituzionale quanto industriale, che ne sta contraddistinguendo le tappe di sviluppo. Tuttavia, come segnala un report del parlamento britannico, l’orizzonte temporale del 2035 rimane un obiettivo ambizioso. Per rispettare i tempi sarà necessario procedere speditamente e mantenere il focus sulla collaborazione proficua che finora ha contraddistinto l’azione di aziende e governi coinvolti nel programma.

Il report di Westminster

L’attenzione di Londra nei confronti dello sviluppo on-schedule del Gcap non stupisce. D’altronde è proprio dal Regno Unito che, nel 2018, parte l’iniziativa Tempest, destinata poi a cambiare nome in Global combat air program con l’ingresso di Italia e Giappone (benché Oltremanica si continui a usare anche la vecchia titolazione). Londra vuole che il nuovo sistema sia operativo il prima possibile, per restare al passo con gli Alleati e garantire il mantenimento della superiorità tecnologica nel dominio aereo.

Il report della House of Commons, che definisce il programma come “ambizioso”, si concentra su tutti quei fattori che potrebbero contribuire ad allungare le tempistiche di consegna previste dal cronoprogramma e pregiudicare l’entrata in servizio del Gcap nel 2035. In particolare, il report identifica tre temi-chiave che andranno affrontati quanto prima per evitare disaccordi e conseguenti ritardi: export, costi e partnership.

Non sarebbe infatti la prima volta che un programma congiunto subisce ritardi a causa di visioni discordanti sulle prospettive di esportazione. La memoria corre immediatamente all’Eurofighter Typhoon, quando le severe restrizioni all’export previste dalla Germania hanno portato a non poche frizioni con Italia e Regno Unito, comportando inevitabilmente dei ritardi sulla tabella di marcia. In questo caso, parrebbe che i partner siano già giunti a un accordo, con il Giappone, storicamente più contenuto sull’export, favorevole a posizionarsi sulla linea di Roma e Londra, che vogliono che il Gcap rappresenti un prodotto di punta per le esportazioni.

C’è poi il nodo sui costi unitari del futuro velivolo e dei sistemi annessi. Se gli Stati Uniti hanno deciso di prendersi una pausa di riflessione sull’Ngad è proprio perché le stime sui costi avevano iniziato a lievitare eccessivamente, con un prezzo stimato tra i 200 e i 300 milioni di dollari a esemplare. L’unica cosa veramente certa sui sistemi di sesta generazione è che impiegheranno tecnologie altamente innovative, tra cui IA, suite stealth, droni e armi a energia diretta. Unire tutte queste tecnologie in un unico velivolo rischia di compromettere quell’indispensabile equilibrio tra prestazioni e costi che da sempre contraddistingue i processi di procurement militare. Inoltre, visti i budget per la Difesa dei partner, tutti impegnati in complessi processi di ammodernamento militare, un eccessivo aumento dei costi rischierebbe di risultare incompatibile con le altre esigenze di procurement, portando ad ulteriori ritardi. Per evitare dunque che il Gcap vada incontro alle stesse incertezze che stanno rallentando lo sviluppo dell’Ngad sarà necessario che i partner si accordino da subito sull’entità definitiva dei finanziamenti da destinare al progetto, senza tralasciare il costo “al consumatore”. Come i commentatori Usa fanno notare rispetto all’Ngad, un solo aereo ipertecnologico e non producibile su scala ha vita breve se confrontato da centinaia di aerei avversari, prodotti in massa e facilmente rimpiazzabili. La soluzione in questo caso sta nel mezzo e nel saper trovare un punto d’equilibrio tra livello tecnologico e sostenibilità produttiva.

Da ultimo, il report sottolinea un fattore che a sua volta si collega a quelli precedenti: l’ingresso di nuovi partner. Nel tempo si sono moltiplicate le voci che vorrebbero altri Paesi, in particolare l’Arabia Saudita, interessati a entrare nel programma. Benché il coinvolgimento di altri attori possa costituire un vantaggio, soprattutto in termini di contributi economici alla fase di sviluppo, il rischio, dall’altro lato della medaglia, è che a una moltiplicazione degli stakeholder possa corrispondere un aumento delle frizioni interne relative a fattori come quelli di cui sopra, senza contare i ritardi dovuti all’adeguamento della struttura consortile. A oggi il Gcap si sta dimostrando stabile e spedito anche in virtù della sua struttura tripartita e paritetica al 33% tra i partecipanti. Laddove si volesse procedere verso l’inserimento di ulteriori partner, questa struttura andrebbe rivista, con tutte le lungaggini burocratiche e negoziali connesse. 

Se finora il programma Gcap si è mostrato in buona salute e avviato verso il rispetto delle tempistiche previste è anche grazie alla profonda attenzione dedicata al non ripetere gli errori del passato. Questo approccio consapevole si conferma dunque vincente e, se mantenuto, potrebbe rivelarsi la chiave per garantire l’entrata in servizio del Gcap entro il 2035.

I numeri del Gcap

Ad oggi, tre Paesi e circa 9mila persone sono coinvolte nello sviluppo del Gcap, 3mila delle quali in Italia. Dal lato italiano, sono coinvolte le maggiori industrie della Difesa e dell’aerospazio, come Leonardo, Avio Aero, Elettronica e MBDA Italia, oltre all’intera filiera nazionale composta da Pmi, centri di ricerca, università, start-up e controllate estere di Leonardo. Dal 2022 ad oggi, il Gcap ha già coinvolto circa 450 attori che fanno parte della supply chain nazionale, con un volume di quasi 200 milioni di euro orientato alla fase di ricerca e sviluppo. 

L’organizzazione intergovernativa Gigo

Il 14 dicembre 2024 i ministri della Difesa dei tre Stati partner hanno firmato il Trattato che istituisce l’Organizzazione governativa internazionale del Gcap (Gigo). L’accordo prevede che il programma si baserà sui principi di pari responsabilità e pari contribuzione finanziaria da parte dei rispettivi governi e che assicurerà ai tre partner la piena condivisione delle tecnologie, del know-how ed un’equa distribuzione geografica delle attività. Infatti, il primo direttore generale dell’organizzazione sarà giapponese e il primo amministratore delegato della joint venture sarà un italiano, mentre il quartier generale della Gigo e dell’azienda saranno ubicati nel Regno Unito.

Gcap, da Londra la ricetta per non mancare l’appuntamento del 2035

Lo sviluppo del programma congiunto di sesta generazione tra Italia, Regno Unito e Giappone procede spedito, ma attenzione a non farlo deragliare sulle tempistiche. Un report realizzato dalla House of Commons pone l’accento su tutte le criticità che il programma potrebbe incontrare e raccomanda come evitarle

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