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“Investire nella Difesa significa aumentare il peso del Paese, e dunque avere migliori rapporti diplomatici e trattative commerciali più proficue”, con effetti che arrivano “fino alle case degli italiani”. È il quadro descritto a Formiche.net da Massimo Candura, senatore per la Lega e vice presidente della Commissione Difesa di palazzo Madama, dove è stato relatore per la proposta presentata dal governo di Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Oggi, la Commissione presieduta da Roberta Pinotti ha espresso all’unanimità il suo parere favorevole, inviando però diverse osservazioni all’esecutivo affinché sia “valorizzato” il comparto Difesa nel progetto di rilancio del Paese.

Senatore, partiamo dal parere favorevole al Pnrr e dall’unanimità riscontrata in Commissione. Qual è il segnale politico?

Sia il Piano nazionale di ripresa e resilienza, sia nello specifico il parere da me presentato, puntano al bene del sistema-Paese, e dunque non poteva essere diversamente. Quando si parla di interrelazione tra Difesa, aziende, enti e centri di ricerca, diretta a tutelare il Paese, non c’è posizione politica che tenga; non si può che essere tutti d’accordo. Per fare un esempio, sulla transizione ecologica si lavora per energie alternative, per efficientare gli immobili della Difesa, caserme e infrastrutture strategiche. Mi stupirei se su questo non ci fosse un consenso bipartisan.

E sulla digitalizzazione, altro pilastro del Pnrr su cui il settore della Difesa potrebbe contribuire?

È uguale. Digitalizzare significa facilitare i rapporti tra il mondo delle piccole e medie imprese con la pubblica amministrazione, e non possiamo che essere tutti d’accordo. Vale anche per la Sanità militare.

A proposito, secondo lei andrebbe valorizzata ulteriormente a supporto del Servizio sanitario nazionale?

Certo. Si parla tanto della duplicità del settore e delle ricadute tra civile e militare. L’epidemia ha dimostrato che la Sanità militare è ancora importantissima, non solo per le Forze armate, ma per tutto il Paese.

Le osservazioni contenute nel parere invitano a “valorizzazione” il comparto Difesa. Ci potrebbe essere più spazio per il settore nel Pnrr?

Direi di sì. L’Unione europea ha dato sul Next Generation Eu delle linee-guida. Come interpretarle sta a noi. A mio avviso si può fare molto, sempre restando nell’ambito delle osservazioni inserite nel Pnrr che fanno riferimento alle linee-guida dell’Ue. Le osservazioni contenute nel nostro parere non escono da tali confini. Si tratta (e questo vale per ogni settore economico) di saper utilizzare le risorse laddove ce n’è bisogno, laddove possono contribuire a far fare un salto in avanti al Paese. Alla luce del recente acuirsi delle tensioni tra Stati Uniti e Russia, mi sembrerebbe strano che l’Ue non abbia a cuore una dimensione strategica come la Difesa nel valutare come i singoli Paesi spendono. E parlo di Difesa nel suo senso più ampio.

Ci spieghi meglio…

Non riguarda le sole Forze armate. Dietro di loro c’è un intero sistema. Eisenhower parlava di “complesso industriale militare”. Oggi è molto di più; arriva a comprendere il quarto dominio (lo spazio extra-atmosferico) e il quinto (il cyber-spazio), coinvolgendo grandi industrie, Pmi, centri di ricerca, think tank e università. Il Pnrr è un’occasione per portare avanti tutto questo, preservando lo stato dell’arte in tutti gli ambiti o, meglio, in tutti e cinque i domini. Il Recovery Fund può farci progredire, ma è necessario farlo come sistema-Paese, lavorando insieme allo stesso obiettivo.

Ciò presuppone investimenti nella Difesa. Tale argomento trova ampio riscontro all’interno del settore e anche tra le commissioni parlamentari di riferimento. Uscendo da questo perimetro, sembra più difficile spiegare perché investire nella Difesa. È così?

Sì. C’è grande difficoltà a far capire all’opinione pubblica l’importanza degli investimenti a sostegno di quelle missioni del decisore politico che rientrano nell’ambito della geopolitica, considerando in tal senso il duo Esteri-Difesa in un tutt’uno quasi indistinto, che comprende soft power, hard power, il modo in cui si tratta con altri Paesi, in cui si costruiscono e si mantengono i rapporti internazionali. Ciò dipende dal peso che si ha alle spalle come sistema-Paese. Ecco, al di là di frasi ingenue come “mettiamo i fiori nei nostri cannoni”, resta molto difficile spiegare tutto questo.

Come affrontare tale questione di “cultura della Difesa”?

Io cerco riportare il tema alla vita quotidiana. Spesso diamo per scontato poter fare benzina a un prezzo accettabile, oppure avere derrate alimentari a un costo congruo con il nostro reddito. Tutto questo dipende però dall’ambito Esteri-Difesa. Bisogna far capire l’assioma per cui investire nella Difesa significa aumentare il peso del Paese, e dunque avere migliori rapporti diplomatici e di conseguenza trattative commerciali più proficue. Sembra una sequenza banale, ma spesso non viene colta dal grande pubblico per un rifiuto iniziale. È purtroppo una questione culturale.

Insormontabile?

No. A novembre, di fronte alle commissioni congiunte di Senato e Camera, il ministro Guerini concluse il suo intervento spiegando la necessità di rafforzare l’approccio culturale alla Difesa e raccomandando ai parlamentari di tornare al collegio e far capire agli elettori quanto sia importante investire nel settore. Personalmente mi sto impegnando in questa direzione. È però importante che anche i principali mass media capiscano di dover veicolare determinati messaggi. Il duo Esteri-Difesa non è un punto trascurabile che può rientrare tra le “varie ed eventuali”. È un elemento centrale dello Stato, fondamentale per la nostra economia, che arriva direttamente (come si diceva un tempo) “nelle case degli italiani”. Agli elettori dico sempre che l’effetto del nostro mancato impegno in Libia lo vedremo alla pompa di carburante nel giro di qualche mese.

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