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La tornata elettorale amministrativa di ottobre sarà la 23esima occasione di campagna elettorale se calcoliamo che fra il 2013 e il 2020 si sono svolte ben 22 tornate. A parte le due campagne delle elezioni europee e le due per le politiche si sono svolte infatti ben 18 tornate di campagne elettorali amministrative: un media di 3,14 ogni anno. Se vogliamo essere precisi, inglobando tutti i turni di campagna elettorale, ne abbiamo avuti 5 nel 2013 e 5 nel 2018, 4 nel 2019, 3 nel 2014, 2 nel 2017 e una nel 2015/2016 che hanno riguardato le istituzioni centrali e le amministrazioni periferiche.

Questo significa che in pratica ogni anno siamo stati sottoposti a una media di sette mesi fra campagna elettorale e discussione post-elettorale: quella che si può definire una sorta di “permanent campaign”. Ciò che vuol dire promesse da parte dei vari partiti, scontri a volte all’arma bianca e distribuzioni di impegni, con la consapevolezza che molti non si possono rispettare, da parte dei vari partiti verso gli elettori e scarsa attenzione alle reali questioni di governo e di amministrazione.

Ora, l’occasione della giornata elettorale del prossimo ottobre, è stata sin qui fonte di dibattito, confronto e discussione sulle candidature, alcune delle quali, come è noto non sono ancora definite. Riguardando questo turno grandi città metropolitane come Roma, Milano, Napoli e Torino, regioni, come la Calabria e molti comuni di media e piccola grandezza, dovrebbe essere l’occasione per una verifica, un dibattito, un confronto, sullo stato delle autonomie nel nostro Paese. Se guardiamo appunto al sistema delle autonomie locali, in Italia ci sono ben 7914 comuni, 107 province (di cui 10 città metropolitane), 19 regioni e due province autonome (Trento e Bolzano). Poi se osserviamo il sistema delle autonomie nel senso allargato del termine ci sono ancora 148 comunità montane che dovevano essere abolite sin dal 2012 ed è stato calcolato che i centri di potere amministrativo sono 8190.

Certo, siamo tutti consapevoli della ricchezza dell’Italia delle 100 città e delle migliaia di comuni, ma questa ricchezza ha anche un’altra faccia che sta nel fatto che ogni comune ha i suoi regolamenti e norme specifiche che spesso confliggono perfino con quelle dei comuni confinanti e questo pone problemi per l’attività amministrativa e per i cittadini. Ma se guardiamo dentro il grande cosmo dei comuni vediamo che ce ne sono 1560 con meno di 800 abitanti ( il 20% del totale), altri 1286 che hanno tra gli 801 e i 1500 abitanti (16%). Ci sono poi ben 2726 comuni che vantano un numero di abitanti fra 1501 e 5000 e ammontano al 34% del totale dei comuni.

Pur sapendo quanto i cittadini sono affezionati ai loro borghi, occorre aprire un dibattito sull’altra faccia di questo variegato panorama in cui ben il 70% dei comuni è al di sotto dei 5000 abitanti. Il problema è che i piccoli comuni spesso non sono in grado di dare un’offerta di servizi adeguata alla popolazione per e di conseguire un minimo di efficienza. Chi si è occupato di questi temi ritiene che la soglia giusta per offrire la giusta gamma di servizi ai cittadini è tra i 10 e i 15 abitanti: solo 1228 comuni, cioè il 15% hanno questa dimensione. Occorre quindi affrontare questo tema per poter giungere a forme di o accorpamento o in qualche modo di consorzializzazione tra i piccoli comuni. Ma di questo tema nessuno sta discutendo, in quanto l’attenzione è concentrata solo sulle grandi città.

Nel panorama delle autonomie locali ci sono poi le regioni, con i problemi che sono emersi nella fase della pandemia. Ma il quesito da porsi qui è che senso ha mantenere l’istituzione regione per regioni come la Valle D’Aosta (126.202 abitanti), il Molise (308.493 abitanti), la Basilicata (567.118 abitanti). Tutti casi di regioni che con un ammontare di cittadini che corrisponde a un Municipio con molta densità di popolazione di Roma. Ci sono altri temi che riguardano il panorama delle autonomie locali, ma bastano questi cenni per dire che la classe politica e parlamentare non si sta confrontando su un tema che è di grande rilievo per il Paese e per i cittadini. Ci si limita alla solita pre-campagna elettorale che in questo caso avrà toni anche più elevati perché riguarda le più grandi città italiane, senza affrontare le vere questioni aperte nel panorama complessivo delle autonomie locali.

Sulle (infinite) campagne elettorali e la questione irrisolta delle autonomie locali

Ogni anno siamo stati sottoposti a una media di sette mesi fra campagna elettorale e discussione post-elettorale. Ma la giornata elettorale del prossimo ottobre sarà un’opportunità per il confronto sullo stato delle autonomie nel nostro Paese. Il commento di Luigi Tivelli

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