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Ieri Viktor Orbán ha annunciato la decisione di lasciare il gruppo del Partito popolare europeo con una lettera al capogruppo Manfred Weber dopo che il Partito aveva approvato le cosiddette regole “anti Fidesz” (dal nome del partito del premier ungherese) che prevedono la possibilità di espellere una delegazione nazionale intera per questioni legate al rispetto dei valori dello stato di diritto.

Il partito Orbán non è uscito dal Ppe (da cui è temporaneamente sospeso). Anzi, come ha spiegato Paolo Alli, nonresident senior fellow dell’Atlantic Council, su Formiche.net, il premier ungherese ha lasciato una porta aperta dove può inserirsi in futuro la Lega di Matteo Salvini. “Un eventuale futuro ingresso della Lega con i suoi 28 membri, per quanto al momento non ipotizzabile, rafforzerebbe non poco il posizionamento del Ppe”, ha scritto Alli.

Ma ora che succede? In cinque punti le conseguenze della svolta di ieri.

1) LA MATEMATICA AL PARLAMENTO EUROPEO

Il Ppe, partito di maggioranza relativa, contava 187 eurodeputati. Si è liberato dei più “scomodi” ma ora, perdendo i 13 eurodeputati di Fidesz arriva a 174. I socialisti sono 145 ma se dovessero ammettere il Movimento 5 stelle raggiungerebbero quota 156. La maggioranza resterebbe in mano al Ppe ma non è mai stata così risicata. Facilmente, dunque, diventeranno ancora più decisivi i cosiddetti gruppi minori. A meno che la Lega, con i suoi 27 eurodeputati, non venga accolta nel Ppe. Scenario che, come spiegava Alli, rimane possibile ma con una strada ancora in salita.

2) LA VITTORIA DI WEBER

Chi più festeggia all’interno del Ppe è il capogruppo Manfred Weber, che ieri ha definito il voto che ha portato all’uscita di Fidesz come “un segnale di forza e di unità”: “È che Fidesz si era allontanato dai valori di Schumann, De Gasperi, Kohl e Adenauer”, ha aggiunto. Il Ppe è più compatto e Weber, la cui Csu in passato aveva preso le parti del premier ungherese, si è ripulito l’immagine. Giusto in tempo per lanciare la sua corsa alla presidenza del Parlamento europeo, puntando con la rotazione tra popolari e socialisti a scalzare David Sassoli.

3) RISCHIO BOOMERANG PER ORBÀN

Orbán ora rischia l’effetto boomerang. Cioè di finire isolato come Diritto e giustizia (Pis), il partito al governo in Polonia. Il che si traduce in una maggior esposizione a procedure di infrazione ma anche alla possibilità di voto sospeso al Consiglio europeo per le stesse ragioni delle regole “anti Fidesz”, ossia violazioni dello stato di diritto.

4) IL FUTURO DI FIDESZ

Dove andrà Fidesz? A dicembre Orbán aveva proposto al Ppe una soluzione in stile Paritto conservatore britannico (prima dello strappo di David Cameron): rimanere con un piede dentro e uno fuori attraverso un’associazione. Nei prossimi mesi il Ppe prenderà una decisione ma non è esclusa una mossa degli ungheresi per anticipare la scelta di Weber e compagni. Le ipotesi sono due: il gruppo Identità e democrazia (con Lega, Alternativa per la Germania e il Rassemblement National di Marine Le Pen) e quello Conservatori e riformatori europei (con il Pis, Fratelli d’Italia e gli spagnoli di Vox). Entrambe le formazioni ieri si sono affrettate a mostrare vicinanza al premier ungherese: il che dimostra come Orbán e i suoi siano visti come un potenziale ottimo partner ma anche un bottino importante. Tuttavia, la prima soluzione ha due controindicazioni: il rischio marginalizzazione e la possibilità di perdere il blocco leghista. La seconda sembra quella più probabile seppur con un alto rischio anch’essa di marginalizzazione.

5) IL FUTURO DELL’UNGHERIA

“Consideriamo i padri fondatori cristiani dell’Unione europea Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi e Robert Schuman come i nostri predecessori ideologici che, basandosi sulla loro forte fede, hanno gettato le basi per l’Unione”. Con questa dichiarazione diffusa ieri dopo le decisioni del Ppe e di Fidesz,, il partito ungherese Jobbik aveva due obiettivi. Il primo: strizzare l’occhio al Ppe (i riferimenti sono gli stessi di Weber). Il secondo: approfittare della situazione per completare la propria trasformazione da partito di estrema destra a formazione cristiano, conservatrice e di centrodestra. Vedremo che le due operazioni riusciranno e se in qualche modo di alimenteranno vicendevolmente.

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